L’incapacità di dimenticare. La condanna della memoria

Così la memoria viene travolta diventando parte della valanga e non può più proporsi e funzionare in modo strutturato, più o meno regolare, non può costituirsi come riferimento.

Il problema, se così si può dire, della memoria di questa civiltà, consiste nel fatto che questa civiltà non consente  di dimenticare.

Ma una civiltà è esattamente come ciascuna delle creature che ad essa appartengono. Che hanno bisogno di dimenticare, di consegnare alla macina dell’oblio che gira senza sosta quello che si può dimenticare perché un altro ricordo ormai lo contiene.

E’ questo che la memoria non riesce più a fare. Non riesce più a dimenticare le cose che diventano superflue, inutili, eccessive. Si tiene tutto, in modo inevitabilmente ammassato, confuso, disorganico, scomposto, disarticolato. Non distingue il ricordo essenziale da quello inessenziale, quello significativo da quello banale, l’originale dalla copia. Non cataloga, non organizza in categorie.

In una delle sue  Finzioni intitolata Funes o della memoria,  scritta nel 1942,  Jorge Luis Borges aveva visto – lui, cieco,  con la stessa sapienza inconsapevole, con la stessa chiaroveggenza paurosa del personaggio di Ireneo Funes – il modo in cui un giorno gli uomini sarebbero vissuti: costretti dalla sterminata memoria delle tecnologie  a ricordare tutto, anche quello che non avrebbero voluto.

Non è vero che questa civiltà abbia rinunciato alla memoria. L’una e l’altra hanno, invece, una coerenza straordinaria. A volte si completano. A volte si  rispecchiano. Sono annodate dalla reciprocità. La memoria è nel modo in cui la civiltà le consente di essere. La civiltà è nel modo in cui la memoria la racconta con strumenti che non sono, non possono essere più quelli che sono stati un’altra volta: per secoli e secoli. Forse è definitivamente scomparsa la trasmissione della memoria attraverso il racconto che una generazione fa ad un’altra, per esempio. Forse questa modalità è scomparsa perché la generazione che accoglie l’altra che arriva ha difficoltà a mettere ordine nella memoria e di conseguenza a dare organizzazione, organicità, continuità al racconto. Forse è questo, forse è altro di poco o molto diverso.  Questa civiltà non ha rinunciato alla memoria. Forse, molto semplicemente, ha elaborato una nuova forma di memoria, coerente con la molteplicità  delle  forme, con la diversità delle  esperienze, con il rapporto che ha stabilito con il passato, con la Storia, con il presente.

Ogni cosa rassomiglia al tempo, inevitabilmente.

Le cose vanno così. Non possiamo farci niente, e forse nemmeno vogliamo farci niente.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 9 maggio 2021]

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