Il chiodo d’oro

di Evgenij Permjak

Senza il padre, Tichon cresceva nella miseria nera: povero in canna. Lui e la madre non avevano né un tetto, né un letto e neanche una gallina, a parte un lembo di terra mai dissodata, come unico lascito del padre. Abitavano, poveracci, dove capitava, lavoravano alla giornata da gente estranea per un alloggio provvisorio in qualche buco e per un tozzo di pane. Pativano ogni sorta di ingiustizie. Da nessuna parte riuscivano ad intravedere per il loro futuro una speranza di felicità e di fortuna. Madre e figlio erano completamente demoralizzati: «Cosa fare? Come rimediare? A che cosa aggrapparsi per tirare avanti?»

Si struggevano in lacrime a quattro rivoli, levavano lamenti a due voci. Avevano ragione, eccome. Solo che coi pianti e coi lamenti non si risolve mai alcun problema. Disse così loro una vecchietta e li consigliò di andare a trovare Zachar, il mastro-fabbro del villaggio.

«Lui» – disse la vecchietta, – «sa fare tutto. Saprebbe persino forgiare la felicità e la fortuna.»

La madre sentì queste parole e si precipitò dal mastro-fabbro.

«Zachar, dicono che tu potresti forgiare felicità e fortuna per il mio figliolo tanto disgraziato nella vita!»

E il mastro-fabbro:

«Ma cosa stai dicendo, povera vedova? Non dirmi che non sai, che ognuno forgia da sé la propria felicità e la propria fortuna. Tuttavia, fai pure venire tuo figlio qui da me in fucina. Potrebbe anche riuscire a forgiarle. Vedremo, se ne sarà capace.»

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