Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XXXIX

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L’interfaccia del barocco.  Lo sfarzo delle chiese e dei palazzi, la vita gaudente dei ricchi e dei potenti, e poi le catapecchie dei poveri, la miseria e la sofferenza degli appestati. Tra gli uni e gli altri, forse, v’era bisogno di una mediazione.  Ecco che cosa ci racconta Antonio Cesari, Vita breve di San Luigi Gonzaga, Da Giocondo Messaggi, Tipografo Librajo, Milano 1858, pp. 84-85, a proposito del santo di Castiglione delle Stiviere: “Si flagellava, cosi tenero di complessione il meno tre volte per settimana, e non mollemente, ma fino ad insanguinare, e fu poco. Negli anni ultimi, dico dei passati nel secolo si disciplinava ogni dì, e da ultimo procedette fino alle tre volte il di, fra il giorno e la notte, e sempre a sangue. E non avendo al principio flagelli a mano, lavorava con guinzagli di cane che gli erano dati innanzi per casa, o con funi trovate a caso ed anche con catenelle di ferro. Talora fu da’ servidori, sopravvenutigli in camera, trovato ginocchione disciplinandosi, e rifacendogli il letto, trovarono sotto il capezzale questi flagelli, co’ quali solea battere il suo corpo innocente. Furono mostrate una volta alla marchesa sua madre le camicie di Luigi tutte insanguinate; e non è a cercare come a questa vista ella fosse trafitta, e risaputolo eziandio il padre, disse alla moglie con molto dolore: – Questo figliuolo si vuol da sé medesimo dar la morte »”. 

La sofferenza autoinflitta, il masochismo di Luigi Gonzaga – ch’era, non dimentichiamolo, il ricco rampollo ed erede d’una celebre e nobile famiglia, colui che aveva rinunciato a tutto per conquistare per sé e per gli altri il paradiso -, fungeva dunque da medium tra gli estremi della condizione umana nell’età barocca. Egli puniva il suo corpo barocco col piacere che può dare la certezza del raggiungimento di un fine, che avrebbe annullato ogni ingiustizia, riequilibrato ogni diseguaglianza, avrebbe salvato potenti e derelitti insieme, finalmente eguali dinnanzi a Dio.

Ed oggi – mi chiedo -, nell’era del neobarocco, nella quale viviamo, chi esprime e come (cioè quale rapporto ha col proprio corpo e con la propria ricchezza) questa necessaria mediazione tra i detentori della ricchezza e gli ultimi del mondo che muoiono ogni giorno sulle spiagge del Mediterraneo?

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Strani conti del tempo. In Graham Greene, In viaggio con la zia, in Romanzi II, a cura di Paolo Bertinetti, Mondadori, Milano 2001, p. 905, c’è un personaggio di nome O’Toole, che fa una strana conta: “Non l’ho mai detto a nessuno” disse. “Alla maggior parte delle persone potrà sembrare strano, immagino. La verità è che conto mentalmente i secondi che impiego a orinare e poi me li segno, insieme all’ora. Si rende conto che ogni anno passiamo una giornata intera a pisciare?” Poi il personaggio sciorina i suoi appunti per dimostrare l’assunto. La cosa risulta strana anche a noi, certo, ma se ci si pensa un po’, che cosa significa questa conta se non una riflessione sul corpo individuale, sulle sue funzioni in rapporto al tempo? Il raccontino può dare una risposta alla semplice domanda: di che cosa è fatto, anche, il nostro tempo?

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Cannibalismo, ovvero una scena d’amore. In Un’estate d’amore (1951), Ingmar Bergman mette in scena Henrik e Maria che si stringono in un abbraccio. Parla per primo Henrik:

  • Ho voglia di farti a pezzettini e di mangiarti tutta quanta.
  • E da dove cominceresti?
  • Dalle mani, poi le braccia e poi il costato.
  • E che ne sai che il costato è di tuo gusto? Furfante!
  • Un cannibale di mia conoscenza me lo decanta sempre.

(si sente il grido di una civetta).

Poco dopo Maria dice: “Smettila di mordermi. E se no comincio io”.

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Gli oggetti inanimati e gli uomini. “Gli oggetti inanimati mutano a un ritmo più veloce degli esseri umani.  (…) l’incrinatura nell’intonaco di una casa trascurata si approfondisce più rapidamente di una ruga su un volto umano, la tinta di una parete cambia colore più in fretta dei capelli, e il decadimento di una stanza è continuo e non giunge mai a una sosta temporanea sull’altipiano elevato di quella vecchiaia sul quale un uomo può vivere a lungo senza trasformazioni apparenti.”

Graham Greene, Il console onorario, in Romanzi II, a cura di Paolo Bertinetti, Mondadori, Milano 2001, pp. 1050-1051.

Il tempo degli oggetti inanimati sembra dunque essere più dannoso del tempo degli uomini, ma questa è pura apparenza, poiché mentre gli oggetti inanimati oppongono al tempo solo una resistenza inerziale, gli uomini gli oppongono una resistenza attiva, che ne rallenta l’azione corruttiva e ci fa credere di essere più forti.

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