di Rosario Coluccia
A volte succede che un episodio fortuito, capitato per caso, ti faccia riflettere su aspetti della realtà che fino a quel momento non avevi considerato a fondo, nella loro complessità. Credi che siano lontani, visto che non riguardano direttamente la tua persona, la sfera dei tuoi familiari e dei tuoi amici. E alcune questioni appaiono un po’ astratte, quasi sfocate. Può aver senso parlare di fatti linguistici, di fronte a problemi che coinvolgono la vita delle persone? La parola inglese «transgender» è composta dall’accostamento di «trans» ‘al di là’ e «gender» ‘genere sessuale’ e indica chi si identifica in modo transitorio o persistente con un genere diverso da quello assegnato alla nascita. Può essere usata come sostantivo (è un transgender) e come aggettivo (movimento transgender, locale transgender), per definire l’atteggiamento personale, sociale e sessuale che combina caratteristiche del genere maschile e di quello femminile, senza identificarsi interamente e definitivamente in nessuno dei due. Le persone transgendersono individui che hanno un’identità o un’espressione di genere che si discosta dal sesso assegnato alla nascita. Esiste anche, meno diffuso, il corrispettivo italiano: «transgenere», molto meno diffuso. Ma ora non voglio discutere della presenza spesso eccessiva degli anglicismi nella nostra lingua e della preferenza che sarebbe giusto accordare a parole italiane che possono ragionevolmente essere usate in luogo di quelle straniere. Questa volta parlo d’altro.
La parola ha un significato originariamente politico e culturale, è un termine ombrello che punta a includere senza discriminazione tutte le forme di non conformità di genere. Definisce il movimento che contesta la visione duale (o binaria) dei generi, secondo la quale le identità di genere nell’essere umano sarebbero soltanto due, sarebbero immutabili e scaturirebbero del sesso genetico degli individui. Il genere rappresenta modo in cui il soggetto mostra la propria identità al resto del mondo, il modo in cui ci vestiamo, come ci pettiniamo, come parliamo e come usiamo il linguaggio del corpo. Il movimento è nato negli Usa negli anni Ottanta. Vladimir Luxuria, parlamentare transgender in Europa, ha reso il termine popolare anche in Italia, ormai ricorre ampiamente nei media, scritti e orali. Ecco l’episodio casuale che mi ha fatto riflettere, come ho scritto all’inizio dell’articolo.