di Rosario Coluccia
Una conseguenza positiva della nostra rubrica è costituita dalle lettere che i lettori indirizzano a me o al giornale, segnalando usi linguistici o lessicali particolari, ascoltate in televisione o lette sui giornali, a volte grossolanità da cui sono comprensibilmente colpiti, chiedendo informazioni su parole e frasi. Da queste lettere traggo qualche esempio significativo o interessante, scusandomi se per ragioni di spazio non posso fare l’elenco completo dei tanti spunti e suggerimenti che mi sono regalati. E ringrazio ancora collettivamente coloro che ci scrivono, perché danno un senso “sociale” al nostro lavoro, con il loro aiuto la rubrica vive.
In alcuni casi si tratta di veri e propri errori, sciocchezze inaccettabili. Fanno sorridere, pur se capitano anche dove non te l’aspetteresti, in sedi che presuppongo un’alta qualificazione professionale. Il telegiornale serale di Rai3 del 3 febbraio informa che «La guardasigilla Marta Cartabia…»; me lo segnala Luigi Labruna, professore emerito all’università di Napoli, insignito di varie lauree honoris causa, ecc., ecc. (mi fermo con i titoli perché conosco la sua discrezione). «Poveri voi!», commenta Labruna trasmettendomi la notizia, alludendo con il “voi” a quelli che di mestiere fanno il linguista. Ha ragione. Il giornalista di Rai3 ha detto «guardasigilla», accordando al femminile il sostantivo e aggettivo guardasigilli (invariabile, non si può declinare), perché in questo caso titolare del Ministero della Giustizia è una donna. In Italia la qualifica guardasigilli è specifica del Ministro della Giustizia, in quanto incaricato di custodire il sigillo dello stato e di apporlo, insieme al proprio visto, alle leggi da promulgare. La parola, composta dall’unione di verbo + sostantivo plurale, dal verbo guardare (nel senso di custodire, conservare con cura, proteggere) + il sostantivo sigilli, è indeclinabile: «l’on. ministro guardasigilli», «i ministri guardasigilli». L’inaccettabile declinazione al femminile si spiega come scimmiottamento della tendenza (di cui altre volte abbiamo parlato in questa rubrica) a volgere al femminile forme di professioni o attività come «sindaca», «assessora», «architetta» a cui solo in tempi recenti accedono anche le donne (a lungo appannaggio dei soli uomini). Nulla di male in questi casi, quei sostantivi femminili vanno bene, anche se qualcuno storce il naso. giudicandoli bruttissimi, orribili, abominevoli (ma, nello stesso tempo, non fa una piega di fronte a sarta, infermiera, maestra, come se le donne potessero fare le sarte, ma non le sindache). La -i finale di guardasigilli non può essere volta al femminile, come non decliniamo altre parole composte e invariabili. Ad esempio, non variano mai «guastafeste» (non si può dire «quella donna è una *guastafesta»), «guastamestieri» (non si può dire «quell’operaia è una *guastamestiera»), ecc.