di Antonio Errico
Alla domanda a che cosa serve l’arte, Anselm Kiefer risponde così: “L’arte e la poesia sono le sole cose vere. Il resto è un’illusione”.
Con questa affermazione, alla fine di un’intervista concessa a Dario Pappalarbo per “Robinson” di Repubblica, Anselm Kiefer rovescia il piano dei concetti, la loro prospettiva, la collocazione che hanno nella storia delle civiltà, nei sistemi di pensiero, nella oggettività dei fatti. Dice che quell’universo finto composto di parole o di colori, di note, di pietre, di scene, rappresenta una realtà concreta e che la realtà concreta non è altro che un’illusione. L’affermazione di Kiefer è un deragliamento dalla logica, ovviamente, ma in ogni caso pone, o soprattutto ripropone una questione. Per esempio: quando uno si ritrova dentro – ma proprio dentro – un romanzo, quando si ritrova nelle profondità dei versi di una poesia, in quel tempo in cui si ritrova dentro, ma proprio dentro, probabilmente percepisce, sente, quella finzione di parole come una realtà. Di conseguenza percepisce e sente la realtà come una finzione. Perché in quel tempo in cui è dentro il passo di un romanzo, dentro un solo verso di poesia, si trasferisce in un’altra realtà, che non è meno vera di quella vera. Si ha l’impressione che la risposta di Kiefer non sia coerente con la domanda; non dice che l‘arte serve a questo, a quest’altro, oppure a niente; dice che è la sola cosa vera, per cui si potrebbe anche suppore che intenda dire che è davvero banale chiedersi a che cosa servano le cose vere, perché tutte le cose che esistono hanno comunque una loro funzione.
Certo, quella di Kiefer è una risposta che può portare lontano, fino ad osare la considerazione che l’arte è la sola cosa vera in quanto spiega cosa sono e come sono le cose vere.
Ma questo punto lontano probabilmente è proprio il più vicino. Perché, poi, in fondo, la funzione forse più concreta che ha l’arte è proprio quella di spiegare, far comprendere la realtà, rappresentandola con una finzione.