di Antonio Errico
Nel mese di gennaio di cinque anni fa, tredici giorni dopo la sua morte, “La Repubblica” pubblicò un articolo in cui Zygmunt Bauman sosteneva che la memoria seleziona e interpreta, e ciò che dev’essere selezionato e il modo in cui interpretarlo è una questione controversa e costantemente contestata. “La resurrezione del passato, tenere vivo il passato, è un obiettivo che può essere raggiunto solo mediante l’opera attiva della memoria, che sceglie, rielabora e ricicla. Ricordare è interpretare il passato”.
Ma forse ricordiamo sempre meno; sempre meno siamo in grado di leggere e interpretare i segni e le tracce sui sentieri del passato. Forse ci basta ricordare con superficialità, interpretare con la stessa superficialità. Attraversiamo i territori della nostra esistenza come turisti distratti e spaesati che fotografano le statue di una grande piazza senza domandarsi quale sia la loro storia, quale sia il motivo e il senso del loro trovarsi lì, e da quanto tempo si ritrovano lì.
Fotografano e basta. Con apparente meraviglia ma con sostanziale indifferenza. Perché l’assenza di memoria provoca indifferenza.
La memoria, invece, non è mai indifferente. Non può esserlo, perché coinvolge idee, emozioni, esperienze; perché riapre ferite, o accende sorrisi di nostalgie. La memoria non può essere indifferente perché determina decisioni, orienta le scelte. Forse tutto quello che facciamo, dipende dalla memoria di quello che abbiamo fatto o dalla conoscenza di quello che altri hanno fatto, degli esiti che ogni circostanza ha prodotto. Non può essere indifferente perché richiede, o pretende, una sostanziale rielaborazione ed una interpretazione continua dei fatti, delle cause, degli effetti.