di Alessio Paiano
Il volume di Antonio Lucio Giannone, Ricognizioni novecentesche. Studi di letteratura italiana contemporanea, Edizioni Sinestesie, Avellino 2020, pp. 276, raccoglie alcuni studi e interventi dell’autore pubblicati in diverse sedi negli ultimi anni. La selezione operata da Giannone, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università del Salento, offre un resoconto dei molteplici oggetti di studio che hanno interessato la sua attività: dai debiti della letteratura di Otto-Novecento nei confronti di due autori paradigmatici come Angelo Poliziano e Leonardo da Vinci, si passa alle questioni fondamentali che animano i dibattiti del “secolo breve”, fra tutte l’esperienza futurista, di cui l’autore ricostruisce nel dettaglio il passaggio al paroliberismo e lo scontro ideologico-formale che ne derivò. A questi si affiancano alcuni scritti nei quali Giannone ha messo in dialogo esperienze letterarie rimaste ai margini del canone letterario novecentesco con quelle più consolidate; ne fa riscontro lo stile peculiare dell’autore, per cui all’assoluto rigore dell’analisi si affianca da sempre una limpidezza del discorso che si lascia agevolmente assorbire dal lettore.
Il primo contributo del volume scaturisce data dalla scoperta di una recensione di Giuseppe Ravegnani al Porto Sepolto (1916) di Ungaretti, riemersa dalle pagine della gazzetta barese «Humanitas» (1911-1924). Lo scritto risale al 1918 e ha l’intento di analizzare alcune raccolte poetiche di nuova uscita: secondo il critico, la cui biografia presentata da Giannone sottolinea la formazione fortemente classicista, l’opera di Ungaretti testimoniava una “moda” negativa del tempo, da lui denominata «poesia a contagocce» (p. 23). Il discorso di Ravegnani è evidentemente dettato non da questioni puramente formali ma anche ideologiche: Giannone, che ne sottolinea l’evidente ispirazione crociana, cita in proposito Appello neoclassicista, introduzione a firma dello stesso Ravegnani alla sua raccolta Sinfoniale (1918), in cui l’autore si scaglia contro ogni produzione poetica non filtrata ab origine dal pensiero logico. L’articolo di Ravegnani, seppur in accezione totalmente negativa, ha in ogni caso il merito di aver già individuato in Ungaretti «la funzione di caposcuola di un preciso filone della poesia italiana di quel periodo» (p. 23).