di Antonio Lucio Giannone
Se è vero che il rapporto Comi-Onofri è «un luogo comune nella letteratura critica contemporanea»[1], è altrettanto vero che esso non è stato affrontato mai in maniera organica ed esaustiva, ma limitandosi quasi sempre a pochi spunti e accenni, a volte acuti, ma spesso anche piuttosto vaghi e generici. Eppure il legame con Onofri è fondamentale, a mio avviso, per comprendere tutta la poesia di Comi, e non solo quella degli anni Venti e Trenta. Questo nesso rappresenta inoltre «una delle più vitali “linee” della lirica italiana del Novecento»[2], sia pure meno fortunata rispetto ad altre, risultate poi egemoni. E’ necessario perciò approfondire questo rapporto, anche per togliere Comi dal suo presunto “isolamento” e inserirlo appunto con maggiore consapevolezza in questa linea “orfica”, che si potrebbe definire anche cosmica o iniziatica o “religiosa” o filosofica o metafisica, della poesia novecentesca. Ma vediamo innanzitutto come si è sviluppato questo problema nella storia della fortuna critica comiana.
Il primo a fare il nome di Onofri, a proposito di Comi, è stato Ricciotto Canudo, che in una breve segnalazione del primo libro comiano, Il lampadario (1912), uscita sul «Mercure de France», lo metteva in relazione con un gruppo di giovani poeti operanti a Roma, tra i quali appunto Onofri[3]. Più che un’individuazione precisa di somiglianze tra i due, però, affatto improbabili allora, questa, di Canudo, era più che altro un’azzeccata previsione del rapporto che sarebbe sorto in futuro. In questi anni, infatti, i due non si conoscevano probabilmente nemmeno di nome, dal momento che il giovane Comi viveva tra la Svizzera e la Francia ed era, quasi sicuramente, del tutto all’oscuro dell’esistenza del cenacolo romano. Per questo, a proposito del primo Lampadario, non si può parlare se non di «remote affinità di poetiche» con Onofri, di «una comunanza di fonti letterarie (nel caso specifico i poeti simbolisti francesi)», oltre che di «una generale atmosfera di irrazionalismo e misticismo filosofico connessa con la riscoperta del neoplatonismo e del plotinianesimo e con l’affermazione delle dottrine bergsoniane»[4].