di Antonio Prete
È il primo verso di una poesia che appartiene a Variazioni Belliche, scritta nel 1959 (l’edizione dell’intera raccolta è del 1964).
Ecco il testo intero:
o mio fiato che corri lungo le sponde
dove l’infinito mare congiunge braccio di terra
a concava marina, guarda la triste penisola
anelare: guarda il moto del cuore
farsi tufo, e le pietre spuntate
sfinirsi
al flutto.
Il primo verso, come spesso accade alla poesia di Amelia Rosselli, è l’incresparsi musicale di un’onda che esiste già prima della parola: da qui l’attacco con la lettera minuscola. La vocale del vocativo è, di questa musica, la nota che si stacca dal silenzio per aprirsi alla luce delle immagini, e per dispiegarsi, ancora musicalmente, come incontro tra immagini portate dal suono e suoni che accolgono il sentire. Un sentire che si manifesta come sguardo sul visibile, osservato nella forma di una bellezza estrema, quella dell’“infinito mare”: una bellezza in movimento, in azione. È quel mare che congiunge “braccio di terra” e “concava marina”. L’invito è rivolto al corpo, al suo respiro, al suo sguardo: perché possano cogliere la terra, la “triste penisola”, come essere vivente – un essere che desidera, che “anela” – e possano allo stesso tempo avvertire il movimento del sentire (il “moto del cuore”) nell’istante della sua metamorfosi, del suo divenir tufo: petrosità che è in sintonia con gli scogli, con la loro animazione, con il loro “sfinirsi /al flutto”.