di Ferdinando Boero
Ho trascorso il 1983 negli USA, in California, a fare ricerche nel Bodega Marine Laboratory di UC Berkeley (attualmente Davis). I miei amici californiani si sorpresero che avessi un posto di ruolo, a vita, a 32 anni: impensabile nel loro sistema universitario. Allora, come oggi, i ricercatori erano sottoposti a pressioni molto forti e vigeva il principio: pubblica o perisci. Da noi, una volta di ruolo, ci si poteva permettere di non fare quasi nulla. Noi, inoltre, mangiavamo e vestivamo molto meglio di “loro” e le nostre case erano mediamente più belle. Avevano pochissime vacanze, lavoravano molto e per le strade c’erano i senzatetto, ridotti sul lastrico. Mi resi conto che stavamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità e decisi, contro ogni abitudine italica, di comportarmi in Italia come si richiedeva ai ricercatori statunitensi. I miei colleghi mi ritenevano un fanatico.
Provengo da una famiglia di comunisti, e non avevo mai bevuto una Coca Cola (simbolo capitalista….) fino al mio arrivo in USA, dove optai per la Pepsi. Quel soggiorno mi fece rivedere molte delle mie certezze. In quell’anno avvenne un episodio terribile, che mi fece cambiare opinione sull’URSS. Un Jumbo coreano fu abbattuto dall’aviazione sovietica e morirono 269 persone. Il Jumbo era entrato nello spazio aereo sovietico ed era stato abbattuto poco prima che ne uscisse: pare che lo avessero scambiato per un aereo spia. I sovietici non avevano alcun interesse ad abbattere un aereo civile e ad uccidere persone innocenti: avevano perso il controllo del loro spazio aereo e avevano reagito in modo scomposto. Nel 1987 Mathias Rust atterrò sulla Piazza Rossa di Mosca con un piccolo aereo da turismo, avendo eluso tutti i sistemi di sicurezza: l’URSS non era in grado di controllare il proprio spazio.
L’evento del 1987 confermò la mia impressione del 1983 e, nel 1989, l’URSS, gigante dai piedi di argilla, cominciò a sfaldarsi.