di Guglielmo Forges Davanzati
Il c.d. declino economico italiano, che origina a partire dalla prima metà degli anni Novanta, coincide con l’inizio dell’aumento delle divergenze fra Nord e Sud del Paese (cfr. Forges Davanzati e Giangrande, 2019), che riprende e accentua un trend iniziato nella seconda metà dell’Ottocento e che si arresta parzialmente negli anni Sessanta-Ottanta (quando si avvia un processo di convergenza fra le due macroregioni, unico caso nella Storia repubblicana). A far data dai primi anni Duemila, la differenza fra i Pil pro-capite del Nord e del Sud si accentua [verifica], proprio in corrispondenza dell’attuazione della revisione del titolo V della Costituzione e dell’avvio del processo regionalista in Italia. Con l’accelerazione della globalizzazione, il Sud perde progressivamente il ruolo di principale mercato di sbocco delle produzioni del Nord, l’industria del Nord assume progressivamente sempre più la connotazione di industria produttrice di beni intermedi e semilavorati, in rapporti di subfornitura del capitale tedesco. Il quale, anche a seguito della riuscita unificazione tedesca e dell’unificazione europea, diventa uno dei principali global player. Nel frattempo, si avviano intensi processi di privatizzazione, liberalizzazione del mercato del lavoro e, a partire dal 1992-1993, di attuazione di politiche fiscali restrittive, che impattano negativamente sull’economia del Mezzogiorno, che – in un contesto generale di accentuata deindustrializzazione – assume sempre più le connotazioni di un’economia con forte e crescente incidenza del turismo e dei servizi: una sorta di “giardino d’Europa” e, tuttavia, con crescente rilevanza del lavoro nero e dell’economia sommersa.