La Lombardia non è più una locomotiva per il Sud

Sebbene la dinamica del valore aggiunto della Lombardia (non il valore assoluto) fosse in linea con le maggiori economie europee tra il 2000 e il 2008, a partire dal 2009 si registra un importante rallentamento, maturando un ritardo pari a 10 punti rispetto a Germania e Francia nel 2021. Il risultato è coerente con la dotazione tecnica e tecnologica della struttura economica lombarda, che a loro volta condizionano la domanda di lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro dipendente. Uno degli effetti della dinamica del valore aggiunto, sebbene non sia l’unico, è il peso specifico del reddito del lavoro dipendente sul PIL. Il reddito da lavoro dipendente (aggregato) regionale è pari al 40% del PIL nel 2019, contro una media tedesca del 53% e del 51% francese.C’è da sottolineare che la Lombardia ha sempre avuto un trattamento di favore dai Governi nazionali, in termini di dotazione di risorse. Da ultimo, le è stata riconosciuta una numerosità di Dipartimenti universitari di “eccellenza” di gran lunga superiori a quelli del resto d’Italia. Va anche riconosciuto che è stata governata sufficientemente bene e che, dagli anni Novanta, dopo Tangentopoli e l’inchiesta Mani Pulite, non ha conosciuto inchieste e scandali di rilevanza nazionale: ciò a dire che si è candidata a rappresentare la capitale economica del Paese, a fronte di quella amministrativa romana. In più, la gran parte della comunicazione italiana ha sede a Milano: il “Corriere della Sera” e il “Sole 24 ore” governano, di fatto, il giornalismo italiano.Ma questi vantaggi, ai quali va aggiunto oggettivamente quello geografico e di localizzazione (prossimo a uno dei più grandi poli industriali al mondo e uno dei massimi mercati di sbocco per numerosità di consumatori potenziali), non si sono sedimentati evidentemente in modo tale da evitare che essa ritenga di poter svolgere il suo ruolo solo – mediante il regionalismo – sottraendo risorse alle regioni deboli economicamente del Paese. Come è stato messo in evidenza in un importante libro recente – “L’impresa italiana” di Franco Amatori, edito a fine 2022 da Treccani – la Lombardia è lo specchio del declino economico italiano, che si manifesta nell’evidenza, ormai acclarata, del fallimento del nostro modo di fare impresa (il fallimento sostanziale dell’esperienza dei distretti industriali e l’eccessiva numerosità di imprese troppo piccole per stare nella dinamica della globalizzazione) e nei continui processi di acquisizione dall’estero. Con eccezione di Ferrero e Luxottica, le sole due imprese globali che abbiamo, le altri grandi aziende italiane sono finite in mani straniere, a partire da Fiat collocata presso la holding olandese Stellantis, o Pirelli diventata cinese o Italcementi passata ai tedeschi.La reazione guidata dalla rivendicazione autonomista appare, in tal senso, fuori fuoco: la ripresa dell’economia italiana passa per iniziative che recuperino i nostri vantaggi competitivi, nella misura dell’ancora possibile, nei settori che abbiamo trascurato, a partire dalle nuove tecnologie. La Lombardia può tornare a essere locomotiva solo a condizione di limitare il ruolo di subfornitore del capitale tedesco (anche perché non ha voce politica in quel Paese), ovvero di Sud del Nord, e di scommettere sul mercato interno nel Mezzogiorno.

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