di Antonio Errico
Cultura vuol dire tante cose. Tra le tante cose, vuol dire anche sensibilità. Nei confronti dell’altro, degli altri, delle cose che appartengono agli altri, che appartengono a noi stessi, delle storie che corrono per il mondo, quelle che ci coinvolgono e anche quelle che non lo fanno esplicitamente, direttamente. Vuol dire sensibilità nei confronti della diversità, della differenza, nei confronti della natura, dell’arte, della bellezza, nei confronti della storia, del tempo passato presente futuro, della ingenuità delle creature, della loro scienza. Insomma vuol dire sensibilità verso tutto quello che abita la Terra e a volte anche verso chi abita l’Altrove.
Ho letto da qualche arte, ma non ricordo esattamente dove, un pensiero di Massimo Capaccioli, professore emerito di astronomia. Dice, pressappoco, che noi viviamo sul fondo di uno sconfinato oceano d’aria, che la nostra atmosfera avrebbe potuto essere opaca alla radiazione elettromagnetica, come accade su altri pianeti, che sono avvolti da nubi così intense da nascondere perfino il sole. Noi siamo stati fortunati. Ecco: bisogna essere sensibili a questa fortuna, per esempio. Per difendere questa fortuna.
Spesso gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo si sono chiesti se ci fosse qualcosa che potesse salvare il mondo. Noi, in questo tempo ce lo chiediamo in un modo certamente più ansioso. Spesso ripetiamo, chiamando a testimone Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo. Ma la bellezza, per essere compresa, per essere assimilata, ha bisogno di sensibilità. Allora, forse, è la sensibilità che potrà – potrebbe- salvare il mondo.