di Mario Spedicato
Ho conosciuto Donato Minonni in tempi piuttosto recenti e questo mi ha impedito di seguirlo nella sua lunga e fruttuosa attività artistica. Devo a Franco De Paola il primo contatto con una presentazione tanto lusinghiera quanto prospettica. Altri amici come Giuseppe Caramuscio, Paolo Vincenti e Pino Spagnolo hanno fornito su mia richiesta interessanti integrazioni sul suo percorso formativo che mi hanno spinto a chiedergli di far parte del nostro sodalizio culturale. Minonni non si è fatto pregare aderendo senza alcun indugio alla Società di Storia Patria di Lecce. Da qualche anno è uno dei soci più coinvolti, segnalandosi non solo per l’assidua partecipazione alla vita associativa, ma anche per il contributo di idee e di progetti elaborato e realizzato nel settore storico-artistico della nostra istituzione culturale.
Frequentandolo, prima ancora di mostrarmi incuriosito per la sua variegata e apprezzata produzione artistica, ho cercato di accostarmi all’uomo per entrare nel suo mondo senza necessariamente arrivarci per via dei suoi manufatti. Ho scoperto con grande meraviglia di avere di fronte un uomo semplice, amante della natura, strutturalmente ambientalista con vocazione francescana, generoso e aperto al dialogo, pronto all’ascolto e rispettoso delle idee e dei giudizi degli altri. Non ha mai denunciato complottismi a suo danno, né si è mai lamentato delle incomprensioni patite da parte di certa critica e neppure di alcune denigrazioni gratuite, diffuse in maniera strumentale per le sue opere di riconosciuto valore. Alle critiche ha sempre risposto con il silenzio e con la tolleranza dell’uomo saggio, ben convinto che ogni rosa, sia pure meravigliosa, porta con sé le sue spine e che queste ultime fanno parte dell’intero stelo, la cui lettura è strettamente legata al punto di osservazione in cui si pone il recensore chiamato a fornire il suo giudizio.