di Giuseppe Virgilio
Non si può capire la conquista del potere da parte dei fascisti anche a Galatina nei primi anni Venti, se non si parte dal presupposto secondo il quale il fascismo sul piano nazionale è stato tutto teso, in modo cosciente e deliberato, a creare un’unità di organizzazione politica della borghesia. Il raggiungimento di questo fine presuppone a sua volta una tattica che si sviluppa attraverso forme precise. Esse sono l’attacco del fascismo ai liberali, le lusinghe ai democratici sociali, ed il tentativo di disgregare i popolari. Queste fasi si centralizzano tutte in una tattica di unificazione borghese. Dal 1919 al 1921 l’ondata dell’attacco proletario ha minacciato in modo diretto il dominio dei vecchi ceti dirigenti dello Stato italiano. Ora essi chiedono al fascismo la restaurazione ed il consolidamento del loro dominio. Di mezzo però c’è la piccola e media borghesia, di cui invero i ceti dirigenti nel passato si sono serviti per schiacciare gli operai e i contadini, senza mai pensare di assimilarla nei ranghi dell’apparato dirigente dello Stato. E’ chiaro quindi che, se il fascismo deve servire ai vecchi ceti dirigenti, la sorte della piccola e media borghesia è segnata.
Noi crediamo che si possano rinvenire gli elementi di un eguale processo di sviluppo nella storia di Galatina.
Negli anni 1921-1922, quando in tutta Italia giunge al suo massimo grado l’offensiva fascista, il gruppo dirigente che amministra Galatina, dopo le amministrazioni borghesi, ma prive di respiro democratico, di Pasquale Galluccio e di Mario De Micheli, fa capo al Sindaco Vito Vallone ed al fratello onorevole Antonio, allora Consigliere provinciale e già più volte deputato di fede repubblicana nei parlamenti prefascisti.