di Giuseppe Caramuscio
Chi (come me) ha avuto l’opportunità di leggere e rileggere il celebre Cuore di Edmondo de Amicis in momenti diversi della propria esistenza, ne ha colto continui spunti di riflessione suggeriti dalle differenti stagioni della vita. Il lettore, in ogni caso, non ha potuto fare a meno di fissare nei suoi ricordi le immagini indelebili dei fanciulli protagonisti, che in vari modi avevano contribuito, a loro tempo, all’edificazione, politica e morale, della giovane nazione italiana: piccola vedetta lombarda e tamburino sardo, muratorini, figli di carbonai e di erbivendoli, e tutto un microcosmo di marginali, che per generazioni ha ispirato, a giudizio di alcuni, nobili sentimenti, e sentimentalismi senza misura che dissimulano un nazionalismo subdolo, secondo altri.
Il titolo qui proposto – provocatorio – pur non riprendendo direttamente la lunga polemica critica sul libro deamicisiano, intende ripensare l’esistenza effettiva e sconcertante di quel mondo infantile che, alla luce di indagini più approfondite sull’infanzia nell’Italia post-unitaria, fa apparire le figure descritte presenti nel Cuore non solo come verosimili, ma addirittura, in non pochi casi, trasfigurate in senso ottimistico dalla finzione letteraria. Oggi possiamo ripercorrere quelle storie non già mediante l’ascolto diretto delle voci infantili, ma attraverso le fonti archivistiche, giudiziarie e legislative, che ci offrono lo specchio adulto di tali vicende. Uno degli aspetti più significativi dell’infanzia “rubata” va ricercato nelle dinamiche migratorie che, come è noto, interessarono il nostro Paese sin dalla prima metà dell’Ottocento, prima dell’unificazione nazionale.