di Antonio Lucio Giannone
Premessa
Il mio intervento è basato su alcune lettere (tre per l’esattezza) inviate da Eugenio Montale in tempi diversi al poeta e traduttore leccese Vittorio Pagano, conservate presso l’archivio privato di quest’ultimo e gentilmente fornitemi in copia dal figlio di Pagano, Stefano, che qui colgo l’occasione per ringraziare. Esse sono di estremo interesse per più motivi, come vedremo, e anche insospettabili per certi aspetti, sia per il tono usato da Montale che per le preziose informazioni che egli fornisce al suo corrispondente. Le prime due risalgono al 1948 (19 gennaio, la prima e 20 febbraio, la seconda), la terza al 19 gennaio 1961. Solo la prima è stata pubblicata, ma senza il necessario approfondimento critico nel 1998 e non su una rivista specializzata ma su un periodico edito dalla Banca di un piccolo centro salentino, Matino, e quindi praticamente sconosciuta[1], le altre due sono inedite.
1. Ma, prima di entrare nel merito del contenuto delle missive, mi sembra opportuno presentare, sia pure sinteticamente, la figura di Vittorio Pagano che certo non è notissima presso gli studiosi anche se meriterebbe senza dubbio maggiore attenzione. Pagano nacque nel 1919 a Lecce dove visse e operò per tutta la sua vita e dove morì nel 1979. Giovanissimo, nel 1942, incomincia a collaborare, con versi e prose creative, a “Vedetta mediterranea”, un settimanale la cui terza pagina, l’anno prima, per i primi dodici numeri era stata curata da Vittorio Bodini e Oreste Macrì prima di essere soppressa in quanto non in linea con le direttive del regime fascista in campo culturale e affidata ad altri meno validi collaboratori. Poi, nel 1947, insieme a Cesare Massa, Oreste Macrì, Giacinto Spagnoletti e Marcella Romano, la sua fidanzata, che fungeva da segretaria, entra a far parte del Comitato di redazione di un altro periodico leccese “Libera Voce”, fondato nel 1943 subito dopo la Liberazione, che va avanti fino a quell’anno. Tra i collaboratori di questo settimanale, oltre a Macrì e Spagnoletti, figurano Mario Luzi, Piero Bigongiari, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Leonardo Sinisgalli, Luciano Anceschi e anche Ungaretti che vi pubblicò una prosa in occasione della sua venuta a Lecce sempre nel 1947 per una conferenza. Negli anni ’50-’60 Pagano collabora pure alla rivista “L’Albero” fondata da Girolamo Comi col quale ebbe uno stretto rapporto. E proprio nelle Edizioni dell’“Albero”, dirette da Comi, nel 1957, pubblica la sua opera più importante nel campo delle traduzioni, l’Antologia dei poeti maledetti, versioni metriche dei principali poeti simbolisti francesi apprezzata anche dagli specialisti e recentemente ripubblicata[2].