di Antonio Devicienti
Scrive Bill Evans proprio all’inizio delle sue note di copertina a Kind of blue: «There is a Japanese visual art in which the artist is forced to be spontaneous. He must paint on a thin stretched parchment with a special brush and black water paint in such a way that an unnatural or interrupted stroke will destroy the line or break through the parchment. Erasures or changes are impossible. These artists must practice a particular discipline, that of allowing the idea to express itself in communication with their hands in such a direct way that deliberation cannot interfere».
Il grandissimo pianista si riferisce, ovviamente, al sumi-e: spiega così lo stato di grazia nel quale il gruppo ha improvvisato, su poche, sintetiche tracce fornite da Miles Davis poco tempo prima dell’incisione, le parti che costituiscono Kind of blue, sottolineando (non a torto) quanto la riuscita improvvisazione sia ancora più ardua allorché è un gruppo e non un singolo artista ad agire.
Al di là della questione dell’improvvisazione qui mi preme richiamare l’attenzione su due elementi fondanti per l’improvvisazione stessa: l’estrema concentrazione mentale necessaria e la stratificazione del pensiero che deve precedere e sostenere concentrazione e improvvisazione.