Al resto possiamo soltanto partecipare, con timore e con meraviglia, senza poter intervenire o interferire, nonostante – com’è giusto che sia – si studino le maniere per farlo. Perché esiste un’intelligenza altra, con capacità superiori a quelle risultanti dalla somma di tutte le intelligenze umane, che governa la terra, il cielo, il mare, che ha già visto tutto il futuro, che ha già scritto ogni storia. A questa intelligenza qualcuno dà il nome di caso. Qualcuno dà il nome di nulla, o di vuoto. Qualcuno dà il nome di Dio. Qualcuno pensa che sia la stessa intelligenza alla quale si attribuisce un diverso nome.
L’uomo che sa di scienza, talvolta prova ancora uno stupore primitivo. Anche se conosce di più, comunque contempla l’enigma, il
meraviglioso della natura. Poi
accetta la sfida del mistero custodito dall’universo, tende
il pensiero verso la violazione dell’arcano, azzarda con una inquietudine serena la decifrazione dei codici di Dio, l’approssimazione ai confini del conoscibile,
del mirabile, dello spaventoso; cerca di stringere in una formula l’infinito e
l’eterno, di rappresentare con figure l’infigurabile.
Einstein rifletteva sul suo rapporto con il sovrannaturale, dunque, sulle
relazioni, gli intrecci, le corrispondenze tra un pensiero di scienza e uno di
fede.
Davvero è difficile capire per quale motivo le certezze della fede e i metodi della scienza debbano essere considerati alternativi o conflittuali. Come se l’una e l’altra non muovessero da un identico senso di stupore, non cercassero, l’una e l’altra, di penetrare il mistero della vita e della morte, come se l’una e l’altra non tentassero di dare risposte alle domande ansiose dell’uomo: sempre le stesse domande, in fondo: qual è l’origine, qual è il fine e la fine, che cosa c’è stato prima, che cosa ci sarà dopo l’esistere di ciascuno, l’esistere dell’universo. In fondo scienza e fede non vogliono fare altro che scoprire quale sia l’alfabeto che consente di decifrare l’enigma e vogliono farlo per lo stesso scopo anche se adottano metodi d’investigazione diversi. Ma la diversità dei metodi non necessariamente comporta la difficoltà della loro conciliazione. Anzi, probabilmente la loro integrazione consente un procedimento più efficace e un risultato meno settoriale, pur nella convinzione che alla risposta compiuta e definitiva si potrebbe anche non giungere mai.
Poco più di due anni fa, durante un’intervista a Giovanni Minoli, Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, diceva chela scienza e la religione sono due domini separati, non si contraddicono. La scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza o no di Dio. E’ una situazione di parallelismo, di approcci diversi. Poi aggiungeva che quello che vede nella natura, il suo ordine, la sua semplicità, la sua eleganza l’avvicina all’idea di una mente intelligente e ordinatrice. Perché la natura è bellissima e anche le leggi fondamentali della fisica sono estremamente ed esteticamente belle, semplici, essenziali e si motivano quasi da sé. Si, io credo in Dio, diceva.
Poi c’è chi sente e pensa in modo diverso, com’è normale che sia, soprattutto in relazione a questioni che riguardano le cose del principio e della fine: Margherita Hack, solo per esempio. Ma è la diversità delle idee che costituisce la loro bellezza.
C’è chi pensa che ogni scoperta della scienza sia una possibilità che si dà all’uomo di conoscere qualcosa che prima di quel momento soltanto Dio conosceva. Chissà se un giorno non si arriverà a conoscere tutte le cose che conosce Dio. Oppure chissà se non ha ragione l’Amleto di Shakespeare quando dice: “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 3 settembre 2023]