La chiacchiera infinita dei social da cui (forse) ci possiamo salvare

di Antonio Errico

Qualche giorno fa, in un articolo sul “Messaggero”, Ruben Razzante scriveva che nel vorticoso dinamismo della Rete, che ha alimentato per anni il mito dell’invincibilità e dell’onnipotenza dei social media, si percepiscono segnali inequivocabili di un’inversione di rotta o quanto meno di un riassestamento funzionale alla definizione di nuovi equilibri. Forse è azzardato parlare di tramonto dei social, dice, ma sarebbe da osservatori disattenti ignorare le difficoltà che le piattaforme stanno incontrando nella loro navigazione, sempre più tempestosa, dell’oceano digitale.

Ecco. Si spera che sia davvero così.   Che prima o poi di chat e profili e contatti e social e connessioni e chiacchiericci come una volta quelle delle comari alla fontana, ci venga la nausea.

Forse cominciano ad avvertirsi i primi sintomi del voltastomaco. Forse qualcuno comincia a pensare a vie di fuga, a come far scoppiare la bolla personale, più o meno variopinta, più o meno opaca, in cui si ritrova a galleggiare. Forse c’è gente che comincia a non farcela più, e cerca espedienti per scappare dai fiumi, dai canali, dalle pozzanghere in cui si è messa virtualmente a navigare. Con il rischio di naufragare. Anche nelle pozzanghere.

Forse i sintomi ci sono tutti, diffusi, trasversali.

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