“Mille e non più di mille”. Il millenarismo nel Medioevo

di Paolo Vincenti

     Col termine millenarismo si intendono genericamente quelle paure ancestrali che attanagliano l’umanità in corrispondenza di qualche preannunciato evento naturale catastrofico, di qualche data significativa o simbolica come per esempio il passaggio da un secolo all’altro o da un millennio all’altro. È ciò che successe all’umanità intorno all’anno Mille dopo Cristo e quello che accadde ancora intorno al Duemila. Quando si avvicina la fine di un evo, è facile che l’umanità venga condizionata da certi timori e risulti più sensibile ad oscure profezie. Ma andiamo ancora più indietro nel tempo. Già a partire dal III secolo d. C. e fino al X, la paura della fine del mondo si impossessò dell’umanità travagliata da ogni tipo di problema, politico, economico, religioso, in quei secoli, definiti “bui”, dell’Alto Medioevo. Ciò è più vero per i cristiani. Essi facevano riferimento all’Apocalisse di Giovanni. Nel capitolo dedicato al sesto sigillo, l’evangelista dice:

     E vidi, quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un gran terremoto. Il sole si fece nero come un sacco di crine, e la luna si fece tutta sangue, e le stelle caddero dal cielo sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi. Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge e ogni monte e le isole si mossero dai loro luoghi. E i re della terra e i principi, i comandanti, i ricchi e i potenti e ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero nelle spelonche e nelle rupi dei monti; e dicevano ai morti e alle rupi: Cadete sopra noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sopra il trono e dall’ira dell’Agnello, poiché è venuto il grande giorno dell’ira, e chi può resistervi?[1].

     Per i pagani, vi erano le profezie della Sibilla Cumana, a cui si richiamò Tommaso da Celano nel XIII secolo nel suo Dies irae: “Dies Irae, dies illa/solvet saeclum in favilla:/ teste David cum Sybilla” (“Il giorno dell’ira, quel giorno che / dissolverà il mondo terreno in cenere / come annunciato da Davide e dalla Sibilla. /Quanto terrore verrà /quando il giudice giungerà/ a giudicare severamente ogni cosa”). Tommaso da Celano non fu l’artefice primo di questo “terribile” poemetto ma raccolse materiali già esistenti dando ad essi una stupenda veste letteraria. Egli fuse insieme le profezie bibliche del re Davide con quelle pagane della Sibilla raccolte dagli Oracoli Sibillini – che conservavano le varie profezie della Sibilla Cumana, della Pizia Delfica, della Sibilla Eritrea -, alle quali avevano guardato con reverenza non solo i politeisti ma anche i Padri della Chiesa[2]. Questa poesia offre delle immagini di straordinaria bellezza, fra le più suggestive di tutta la produzione medievale. Alla fantasia turbata dei fedeli veniva presentata la maestosa scena del Giudizio Universale, scolpita nei versi del componimento in tardo latino, in cui si sentiva risuonare la tromba del giudizio e i morti risorgere e tutta la natura partecipare all’evento. La tromba diffonde un orribile e misterioso suono che si sparge ovunque, per ogni cimitero e sepolcreto del mondo: “Teste David cum Sibylla”[3].

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