di Ferdinando Boero
Sono un reduce del ’68, ho occupato il mio liceo, e fatto blocchi stradali davanti al provveditorato di Genova, in via Assarotti. Eravamo seduti per terra e lo slogan era: Più aule più professori. Il Liceo Scientifico Enrico Fermi faceva i doppi turni e una girandola di supplenti rendeva difficile lo svolgimento dei programmi. Non protestavamo per motivi “globali”, chiedevamo che la scuola pubblica funzionasse meglio. La Polizia si schierò di fronte a noi e un signore con fascia tricolore gridò: in nome della legge, scioglietevi! Restammo lì seduti, per terra. Tre squilli di tromba e partì la carica. Mi alzai dalla prima fila e mi misi di lato, contro un muro. Gli altri, dietro, non fecero in tempo e furono travolti. Ho ancora chiara nella memoria una mia compagna presa per i capelli e trascinata via, con tre poliziotti che la manganellano mentre è a terra. Era solo l’inizio delle contestazioni che, tragicamente, finirono con morti ammazzati da entrambe le parti, le P38, il terrorismo. Per fortuna, all’università, mi concentrai su altre cose (la biologia marina) e mi allontanai dall’attivismo. Anche perché presto mi accorsi che i “gruppuscoli” si stavano facendo la guerra tra loro. A Genova non c’erano fascisti, e i ragazzi di sinistra se le davano tra loro. Ho frequentato qualche riunione di Lotta Continua. Si programmava l’affissione notturna di manifesti, contendendo gli spazi con Lotta Comunista, Servire il Popolo, Potere Operaio, Avanguardia Operaia e altri, compresi Luddisti. Una situazione ben descritta in Brian di Nazareth, con il Fronte Popolare di Giudea (). Abbandonai la militanza.