di Antonio Lucio Giannone
Non tutto però nel libro della Stevens è puro riflesso dei tempi. Esiste anche una parte dove si dispiega una vena più autentica, una ispirazione più originale, che dà vita, a nostro avviso, ad alcuni degli esiti più apprezzabili dell’intera raccolta. Innanzitutto c’è un fresco e delicato sentimento della natura, che si estrinseca, ad esempio, nelle poesie dedicate ai fiori, ai quali la poetessa si sente legata da un comune destino di precarietà e di infelicità: “Han sulla terra troppo da soffrire / L’alme ed i fior gentili” (Domande e risposte, p. 12). Non è casuale che un sensibile poeta salentino, Vincenzo Ampolo, coetaneo della Stevens, le abbia dedicato una lirica, dopo la sua morte, prendendo spunto proprio da una di queste composizioni, Ad un gelsomino:
Se fossi gelsomin, vorrei volare,
mesto e gentil, di Napoli sul mare;
mesto e gentile, su le verdi zolle
vorrei volare del fiorito colle
ove riposi, nella terra bruna,
povero disco d’eclissata luna!
Se fossi gelsomino, anch’io verrei
il pianto a darti ed i profumi miei:
a sera, ci diremmo tante cose
colla lingua che parlano le rose.
(A Sofia Stevens, vv. 9-18) (16)