di Gianluca Virgilio
Ci fu un tempo in cui la lettura del giornale per alcuni, seri responsabili del destino del mondo, costituiva la preghiera laica del mattino; per altri, gli edonisti, un piacevole inizio di giornata, meglio se accompagnato anche da caffellatte e pasticcini ancora caldi. In un caso e nell’altro, il giornale assolveva alla funzione di recare notizie a chi ne era privo, suscitare emozioni in chi giaceva in uno stato di forte apatia – uno tsunami, un terremoto, un’alluvione, una guerra hanno sempre un effetto adrenalinico -, insomma mettere in comunicazione il mondo degli uomini.
Sin da quando ero bambino, il giornale era una presenza costante nella mia famiglia. Mio padre lo acquistava regolarmente, sempre dallo stesso giornalaio, quasi sempre lo stesso giornale. Alla lettura del giornale dedicava le ultime ore del giorno, ma esso era con lui in tutte le fasi della giornata, come un fedele compagno cui rivolgiamo la nostra attenzione appena le incombenze della vita ce lo consentono: prima di pranzo, tra una lezione e l’altra, prima di cena, a letto, prima di dormire. Un giornale al giorno, in un anno, fa poco meno di trecentosessantacinque giornali, il che vuol dire che in poco tempo la casa ne sarebbe risultata ingombra, se non fosse intervenuta mia madre, la custode della casa, che provvedeva a smaltire i giornali in parte bruciandoli nella cucina economica a legna, in parte barattandoli col pescivendolo e col macellaio da cui si recava a fare la spesa, in cambio di un prezzo di favore per i suoi acquisti. I settimanali no, quelli rimanevano accatastati in un angolo dello studio per anni, impilati fin quasi al soffitto, salvo poi essere scaricati tutti insieme in diversi bidoni della spazzatura prima del prossimo trasloco. Insomma, se la mia famiglia non è rimasta sepolta dai giornali, lo deve a mia madre; la quale non esitava a deprecare lo sperpero di denaro profuso da mio padre nell’acquisto quotidiano del giornale, e poi i settimanali e le riviste mensili e bimestrali e trimestrali e gli annuari ecc., come se non bastassero i libri che si accumulavano nello studio e in altre stanze tanto che avrebbero potuto far crollare la casa… Mia madre si arrendeva, o fingeva di arrendersi, solo quando arrivava la giustificazione del marito, che cioè, come diceva Hegel, il giornale era la preghiera laica del mattino… Ma più che una resa, era un omaggio alla cultura di mio padre, e un modo per non scontentarlo. Diciamoci la verità: se il telegiornale a sera ci dava tutte le notizie di questo mondo, che senso poteva avere leggere il giorno dopo le notizie relative al giorno prima? E i commenti, gli approfondimenti, le opinioni, le recensioni – rispondeva mio padre – come fare ad averli, se non dopo attenta lettura del giornale? E poi te lo immagini – aggiungeva – un professore di liceo che non legge neppure il giornale? Che professore sarebbe?
A distanza di nove anni dalla stesura di questo pezzo, rifletto sulla sua seconda parte, che evidentemente non si giustifica che con uno stato d’animo di grande disincanto politico rispetto alle vicende del mondo. Sulla inattendibilità degli organi di stampa più diffusi non ho cambiato idea, ed anzi ora rinvengo la causa della mia disaffezione come lettore di giornali proprio nella loro sistematica menzogna, che le ultime vicende belliche (Ucraina e Gaza) hanno evidenziato al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma la mia reazione ora è molto diversa. Volendone riassumere il senso, rimando al mio scritto in questo sito dal titolo significativo Nuove segnalazioni bibliografiche 17. Controinformazione. (G.V.)