Una lanterna aggiunta. Romanzo 6

   «Sia accolto il naufrago» lo salutò il frate. «Persa ogni masserizia?»

   «Tutto ho perso» rispose quello, consapevole che la metafora aveva lasciato il segno.

   «So da mia figlia» rise il Valletta. «La signora Gaia è stata salvata da un veliero di passaggio. La rivedrai, Soti. Tornerà da te» aggiunse andando a sedersi su un mattone di tufo che qualcuno aveva trascinato da un pezzo di muretto crollato di là della spiaggia.

   Soti aveva visto in lontananza due donne provenire dalla parte dello stabilimento balneare. Stavano esplorando anche loro la costiera deserta o si avviavano a un varco per l’entroterra? Marzio e Alfonso erano di spalle e non potevano notare il loro avvicinarsi. Quando percepirono le voci femminili si voltarono. Due veneri senza reggiseno. Una, con occhiali a specchio, chiese: «Scusate, andando avanti di qua c’è un sentiero interno più agevole per il ritorno?»

   «Mi dispiace» rispose Soti con un certo ritardo per l’improvviso rapimento. «Che io sappia non c’è. E non so se trovereste una uscita sulla strada litoranea.»

   L’altra ragazza si avvicinò porgendo una sigaretta tra le dita. «Avete fuoco?»

   E il Dom in uno slancio mancato per sollevarsi in piedi: «L’avevamo, ma l’abbiamo spento in mare.»

   «Peccato» esclamò lei irriverente.

   «Non tornate in mezzo alla plebaglia» insistette il povero che avrebbe desiderato appressarsi alla bella per il contatto d’accensione. «Rimanete vicino ai gigli delle sabbie. Fate il bagno con noi.»

   «Non sarebbe un cattivo proposito» rispose la venere dagli occhiali a specchio muovendo vezzosamente la testa. «Sarà per domani, se vi troviamo qui.»

   «Ci saremo di sicuro per proseguire un certame poetico davanti a questo mare che un tempo ispirò le grandi menti dell’Ellade. Voi chiedete di Ulisse e di Orfeo.» Il Dom indirizzò l’indice verso Soti e su sé stesso.

   «Che nomi a spingersi da queste parti!» esclamò la delusa del fuoco volgendo il fondoschiena per riprendere il cammino. Aveva lanciato una occhiata di forte degnazione nei confronti dei due aggiungendo però verso la figura atletica del più giovane un sorriso di totale apprezzamento, largo e avvolgente. Si allontanarono col passo di danza imposto da sabbie e sassi. Il grande paesaggio sotto il sole ardente le rimpiccioliva ma la mente dei tre uomini doveva averle bloccate nella visione ravvicinata.

   «Peccato che le fanciulle non abbiano chiarezza su Ulisse e su Orfeo» commentò l’autore del suggerimento.

   «Se pur digiune di mitologia» intervenne Soti «le sirene del nostro tempo sanno però bene cosa cercare in giro. Desiderano l’uomo dal multiforme ingegno ed anche il cantore, l’artista vivace parlatore. Sono pienissime le spiagge di queste sirene. Le trovi con un po’ di fortuna anche completamente nude. Noi dobbiamo rassegnarci se esse ammaliano mille uomini per scegliere poi uno solo.»

   L’Aloisio doveva aver tratto coraggio dall’occhiata seduttiva della vestale. «È un capovolgimento della mentalità antica, quando i naviganti conoscevano i pericoli dei viaggi per mare. Spesso perivano o si rovinavano con le prostitute delle città portuali.»

   «L’astuto Ulisse incera le orecchie dei compagni mentre lui si fa legare» spiegò Marzio levatosi dal sasso forse per un ultimo sguardo alle fanciulle ormai lontane. «Orfeo se la cava diversamente nel suo viaggio con gli Argonauti verso la Colchide alla ricerca del vello d’oro. Oppone il suo canto a quello delle sirene e quelle a un certo punto, sfiatate, mormorano: “Ma questo marinaio è estenuante!”»

   «Rozzi eroi antichi, non gentiluomini i due» rifletté Soti. «Ulisse abbandona in pianti la ninfa Calipso e Orfeo fa infuriare le donne di Tracia con la sua lagna di inconsolabile. Comunque tutto cambia. Dalle sirene metà donne e metà pesce si passa ai mostri medioevali che infestano oltre ai mari anche i boschi e le rive dei fiumi.»

   Il frate non voleva sentirsi da meno. «Il mondo moderno comincia a umanizzare le sirene. Pensate alla favola di Andersen. La Sirenetta deve sopportare il dolore causato dalle convenzioni sociali. Come premio per aver salvato il principe dal naufragio diventa fanciulla terrestre ma non può coronare il suo sogno d’amore, perché lui, pur amandola, deve scegliere una moglie del suo rango. Il dolore raggiunge il culmine quando la povera è presente sulla nave regale dove gli sposi passano la loro prima notte di nozze. Lei però, votata al sacrificio, rinuncia alla vendetta e ritorna al mare come donna pesce.»

   «Nuove paure salgono in tante ragazze di oggi, anche tra le più belle» riprese il Dom. «Tanta fatica per ammaliare e neanche un uomo alla fine che provveda alla solidità familiare.»

   Soti pensò a sua figlia. «Altre paure salgono. Il nostro mondo esaspera la competizione sessuale. Anche su quella lavorano gli algoritmi degli economisti.»

   Ricevette dagli altri due un largo gesto di assenso. Si avviarono al bagno. Finché non si raggiungeva la profondità favorevole al nuoto dovevano avanzare attenti a non ferirsi contro gli scogli appuntiti.

   Il Dom con l’acqua già all’inguine chiese indicando vagamente lontano col braccio: «Vengono in convento a confidarsi giovani siffatte?»

   «Svestite no. Comunque le mando altrove se sono viziate. Se individuiamo problemi psichici consigliamo di rivolgersi a specialisti. Ce ne sono di bravi che prestano la loro opera gratis o a prezzo simbolico.»

   «E capita la disgraziata che si mostra pentita di aver fatto sesso senza amore?»

    Non si sentì in imbarazzo l’Aloisio che forse immaginava il tormento di un padre. «Non capita. Fare sesso senza amore o piuttosto senza impegno sta diventando un diritto universale. Ma noi prestiamo attenzione a chi mostra un barlume di volontà ad affrontare una situazione dolorosa. Si cerca di incoraggiare le persone a elaborare un’idea per impadronirsi della propria vita. Tutto sta nel riuscire a far sì che la mente utilizzi il senso del tempo.»

   «Di solito l’infelice vede tutto stampato nell’eterno» insistette il padre di Claudia. «Ma in casi speciali… tagliare netto su un discorso… appunto con ragazze viziate, come tu dici che capita… ci vorrà una montagna di pazienza.»

   Soti ammiccò come a significare che era il caso di finirla lì e di buttarsi a nuotare.

   «Pazienza non è lasciarsi sopraffare» rispose calmo il frate. «Implica anche una distinzione tra le persone che hanno veramente bisogno. Ho una folla di impegni nelle mie giornate. Quando vado a letto mi addormento di colpo. A volte sei chiamato a calmare un’anima pervasa da odio feroce. O devi prospettare uno stato di serenità a un’altra anima che brucia di disperazione. Devo confessare che molti birbanti dei miei confratelli sono propensi a delegare e a occuparsi solo di problemi semplici.»

   «Che sarebbero?» chiese Valletta deluso per il mancato chiarimento sul problema complicato del sesso senza amore.

   «Sarebbe che giovani sani, sanissimi, vengono a chiedere se Dio c’è, se l’anima è immortale.»

   Non era quello che il padre di Claudia voleva sapere e perciò si distrasse guardando anche altrove per il resto della conversazione.

    «Sarà perché a scuola» insinuò Pasina «nell’ora di filosofia vanno a cozzare contro i concetti a priori di spazio e tempo. Lo spazio è geometria. Ci stanno dentro la fisica e la chimica. Il tempo è memoria, quindi lago delle emozioni, scaturigine delle domande ultime. Uno desidera vivere un tempo infinito e poi non sa che farsene dello spazio infinito.»

   «Qualcuno di questi teologi in erba ha osato anche propormi di leggere il suo diario. Ci pensate?» confidò il frate.

      A Soti si affacciarono immagini di giovinezza. «La scrittura tra solitudine e delirio di onnipotenza. Chi di noi non c’è passato? Credo non siano gli adolescenti a impensierirvi ma certi narcisi sapientoni. La vostra chiesa è come un grande palazzo nei cui vasti ambienti si aggira ogni genere di persone. Pensano e dicono quello che vogliono. Se qualcuno però alza troppo la voce viene presto portato nella sala di comando per insegnargli come si parla.»

   L’Aloisio assentiva con cenni della testa. Si portavano le mani bagnate alla parte emersa del corpo per reggere al freddo del tuffo finale. Parevano pronti alla cerimonia del battesimo.

   Soti proseguì come obbligato dal silenzio degli altri due. Sentiva che non avrebbe parlato se il pensiero non fosse andato a sua figlia ed anche alla sua amica, al mistero dei loro sentimenti. «Penso che tu devi stare attento a come usare le parole. Immagino che la parola finisca con l’essere un prisma che sfrangia il discorso in modo che tra due persone permanga una certa necessaria distanza.»

   «Beh, a volte si va per le spicce con qualcuno che ti si attaccherebbe fino allo sfinimento. Bigotti, vecchie. Anche noi frati a volte perdiamo la pazienza.»

   «Quando si dice: vai con Dio.»

   «Esatto.»

   Soti amava i convegni dei filosofi in belle sale con lucido tavolo dei relatori, microfoni e tutto il resto. Ma la preoccupazione per la propria figliola precaria nel lavoro e ancora incerta sulle coordinate sentimentali lo spingeva a invasioni nella coscienza altrui anche col rischio di ferire. Risentì il dispiacere di non essere mai riuscito a trovare per Sofia una madre adottiva, a portarle in casa una amica più anziana e una confidente, già che la madre naturale era stato meglio abbandonarla.

   Era il momento di immergersi e nuotare. Si distaccarono uno dall’altro. L’Aloisio era forte e andò lontano. Stavano per riguadagnare la spiaggia dopo il bagno quando alle loro spalle giunse una voce da una barca col motore a bassi giri alla quale essi non avevano volto attenzione.

   «Ehi papà, papà!»

   Era Claudia. Con lei Sofia e altri tre giovani. La barca avvicinò quanto possibile. Le ragazze, allacciato un pareo intorno ai fianchi e presa la borsa da mare, scesero nelle acque basse ma quel tanto profonde perché l’operazione di verecondia si annullasse. I veli erano inzuppati e incollati.

   Con il saluto l’Alfonso ebbe baci sulle guance e gocciolamenti sul petto dai loro capelli ancora grondanti di una nuotata al largo.

   «Ciao cari! Grazie del giro. Ci rivediamo» gridò Claudia agli accompagnatori. «Noi facciamo una passeggiata con i nostri vecchi.»

   Tutto quello che le ragazze e il frate si raccontarono sulla via del ritorno, con Marzio che vi dava incessantemente alimento, avrebbe riempito più pagine di un diario. Soti camminando dietro a tutti percepiva qualche breve frase, non frenando l’irritazione di sentirsi escluso. Immaginava di ascoltare in sua figlia la voce di un soprano, mentre quella di Claudia poteva essere di un contralto; Alfonso era il tenore e Dom il baritono: una cantata con accompagnamento di orchestra, del mare cioè, su cui cominciava a soffiare il vento sollevando onde.

   Giunti al parcheggio, Valletta ebbe il compito di riportare padre Alfonso in convento. Soti prese con sé le ragazze. Claudia sedette davanti cominciando subito a spargersi crema sulle gambe nude dove cespugli malefici avevano lasciato invisibili graffi. Passarono alquanti minuti di distrazione e sofferto silenzio del guidatore il quale alla fine non contenne il suo pensiero. «Mi dite perché siete scese dalla barca e avete abbandonato i vostri amici? Non succederà adesso che quel frate dopo avervi viste nude vorrà vestirvi da suore?»

   «Papà, fammi scendere!» urlò Sofia.

   «Perché, non saremmo carine vestite da suore?» ironizzò Claudia. Sollevava le gambe per raggiungere e massaggiare le zone di maggior bruciore.

   «È inutile inseguire quell’uomo sui sentieri della logica. Nell’uso della ragione vi troverete sempre d’accordo. È intelligente e colto ma, se è bloccato da un problema impossibile a esprimersi, lo tenga per sé e non coinvolga voi per risolverlo.»

   Claudia si mostrò agitata e commossa insieme. «Ma come esageri e sei cattivo, papà Soti! Chi non nasconde un dramma impossibile a confessarsi e magari una qualche perdonabile passione? Noi seguiamo padre Alfonso sui sentieri dell’umanità. Lui fa parte di una comunità di amici. Tutto qui. Non è un solitario. Per me hai più bisogno tu di affetto e di baci.»

   «È un solitario, Claudia. Vi gira attorno per ascoltare i fatti vostri.»

   Sofia dal sedile posteriore: «Papà, sei tu un solitario. Non dire fessate.»

   «È la tua percezione, Sofia» esclamò Claudia volgendosi indietro all’amica. «Chiediamogli della signora Gaia. Tuo padre è troppo debole per nascondere una oscura passione.» E volta a Soti: «Stai contando a ritroso i giorni fino al suo ritorno da Roma?»

   E lui dopo una guardata di traverso mentre accavallava le gambe: «Lasciate perdere la mia oscura passione. Ragioniamo sulla comunità di anaffettivi chiusa al mondo moderno.»

   Sofia alzò la voce alle spalle dei due: «Guarda, papà, che fine ha fatto il tuo socialismo aperto al sole dell’avvenire. Uno si salva solo all’interno di una comunità spirituale.»

   «Uno si salva? Il tuo spirituale ti riceve come maddalena?»

   «Riceve ogni tipo di maddalene. E allora? Voglio vedere te nel tuo eremo e, faccio per dire, come affronteresti la confessione angosciosa di una prostituta che teme di essere sgozzata dal suo sfruttatore.»

   «Una prostituta?» Soti frenò pericolosamente e accostò. «Allora scendi.»

   Claudia lo afferrò per un braccio sforzandosi anche di ridere. «Mettici sul marciapiede tutte e due.»

   Lui picchiò sul volante e ripartì. «State zitte qualche volta. Non mi piacciono le comunità che, più tradizionaliste sono, più la gente si fida credendole assistite dalla divina provvidenza e non si cura che vengano finanziate col denaro pubblico.»

   Al timoniere delle due terribili sirene non piaceva essere considerato un solitario. Dagli scaffali della sua biblioteca gli facevano compagnia i grandi maestri di pensiero. Consapevole del rarefarsi delle comunità solidali, pensava che quella conventuale era una difesa certamente contro la solitudine e le violenze d’ogni tipo, ma conservava purtroppo elementi di mistica innocenza. Continuò a parlare sempre agitato mentre Claudia si voltava a scambiare smorfie con l’amica, adesso abbandonata sul sedile posteriore e così scompostamente da incuriosire gli automobilisti in sorpasso.

   «Non parlatemi di comunità. Si stanno estinguendo di pari passo conseguentemente alla fine del rapporto dell’uomo con la natura.»

   «Papà, non ascolto cazzate. Fammi scendere!» Era un grido rabbioso cui Soti stavolta non badò.

   «Basta, buoni» cercò di calmare Claudia «perché ho fame e devo venire a mangiare da voi. Adesso raccontiamo a papà Soti una storiella che potrebbe ispirarlo a scrivere una moderna sacra rappresentazione con personaggi di prepotenti e di umiliati. Io e Sofia abbiamo saputo di certi fatti riguardanti l’Aloisio ancora studente prima di entrare in seminario. Vuoi sentire, papà Soti? Sì? Ti raccontiamo. Così ti rilassi e non sei pericoloso nella guida.»

   Alfonso, raccontò Claudia, amava una sua compagna di liceo ma lei non lo ricambiava per la ragione che il ragazzo teneva troppo a posto le mani. Poi arrivò un altro che le mani le sapeva mettere dove ci vanno. Il fortunato era geloso e sospettava che l’Aloisio sperasse in un cambio di idea dell’amata. Così un giorno nel cortile della scuola, lontano dagli occhi dei professori, la coppia si presenta allacciata davanti al deluso d’amore che si appoggia al muro per non crollare. Il cattivo infila una mano nella scollatura della studentessa fino a racchiuderle un seno. Domanda al poveretto: “Sai cosa le succede mentre io le accarezzo la tetta?” Silenzio e occhi abbassati dell’altro. Poi lo sciagurato si china per portare la mano al grembo della sciagurata. “E adesso sai cosa succede?” E quello ancora lì in croce. I compagni che hanno visto e sentito sono impietriti. Forse pensano di riempire di botte il delinquente una volta fuori di scuola.

   «Storia da tramandarsi tra pettegole» commentò Soti, sconvolto dai particolari espliciti.

   Fu urtato da Claudia con una forte manata sulla spalla ma preferì non reagire e tacere. Dopo alcuni minuti la vide con gli occhi chiusi crollata nel sonno. Nello specchietto retrovisore seguì la manovra di Sofia che si aggiustava anche lei a dormire.

   Guidando gli venne in mente di quella volta che aveva visto una giovane donna aggrappata alle sbarre del cancello del convento e sollevata con i piedi sulle più basse come per vedere meglio nell’ambulacro e al di sopra dei cespugli di rose nell’aiuola. Il bel fondoschiena inarcato in modo voluttuoso. Un richiamo inquieto, un’ansia di mandare un segnale non con la voce ma ponendosi tutta intera a figura che chiede attenzione.

   Il fantasma d’antico amore nel sonno claustrale di padre Aloisio?

14

Ad Agra per due notti aveva condiviso con le ragazze una suite con vista magnifica sulla campagna e sul fiume Yamuna. Esse una volta a letto non si addormentavano se non avendo tirato prima a lungo con chiacchiere e risate. Soti si alzava per bussare alla loro porta e prospettare le fatiche dell’indomani ma le sfacciate gli ordinavano di tapparsi le orecchie e dormire. Capitava pure che Claudia, bravissima a montare confusione di oggetti, al risveglio e a sera venisse da lui disinvoltamente discinta per trafficare con la valigia lasciata aperta sul quarto letto libero. 

   A causa dell’afflusso oceanico di gente al Kumbh Mela il gruppo doveva accontentarsi di un campo tendato sulla riva sinistra del Gange a una decina di chilometri a sud di Allahabad. Qui con tende tutte a due letti a Soti si rinnovava la comodità della solitudine. Lasciò che un giovane del personale gli prendesse la valigia e lo accompagnasse lungo file di tende fino alla sua in un’area con alberi. Da sotto il fogliame gli giunse il brillio grigio argenteo del grande fiume.

   Meglio che in albergo. Si concedeva a lui sfinito dalla stanchezza di abbandonarsi come un pacco in un ripostiglio. La tenda aveva la verandina con la stuoia, all’interno una sedia a sdraio, uno sgabello pieghevole, un comodino per ognuno dei letti, quindi la zona bagno. L’aria, intrisa del puro odore della terra e della tela di sacco che la copriva, era piacevolmente calda. Una forte luminosità penetrava attraverso i teli bianchi segnati da leggeri motivi floreali. Quando fece scorrere la lampo per chiudere e cominciare a sistemarsi sentì che da quel rifugio non si sarebbe mosso fino all’ora di cena. L’indomani era prevista la prima visita al raduno religioso annunciata come molto impegnativa. Nella notte successiva si doveva ripartire in tempo per trovarsi col sorgere del sole allo spettacolo del grande bagno sacro degli asceti. Erano già le due e aveva avvertito che non avrebbe partecipato all’escursione del pomeriggio. Gli altri raggiungevano un vicino villaggio dove un signore facoltoso curava un giardino botanico. Tra i tanti alberi e arbusti tipici di quella regione avrebbero ammirato magnifici esemplari del sacro albero rudraksha dai cui frutti, detti anche occhi di Shiva, si ricavano i semi utilizzati per collane e ornamenti di uso popolare e prediletti dai santoni. Ritenuti magici e medicamentosi, avrebbero capacità elettriche e regolerebbero varie funzioni dell’organismo.

   Poteva riposare tranquillo. Per le foto e gli acquisti erano titolate Gaia e le ragazze.  

   Adesso si trattava di compiere un ultimo sforzo: lavarsi. Non c’era doccia ma bisognava usare una brocca e fare attenzione a non spargere troppa acqua oltre il piatto raccoglitore. La base della tenda rivelava dislivelli che avrebbero potuto incanalare dei pericolosi rivoli dappertutto. Pur frastornato non creò pozzanghere e contento di sentirsi liberato da sudore e polvere passò a radersi. Usò la bacinella posta su un tavolino di legno già maltrattato dall’umidità. Lo specchietto dondolava da un gancio. I capelli tagliati corti erano asciugati in fretta. Finalmente poteva distendersi a letto. Al momento bastava il lenzuolo. 

   Non gli giungono che voci di passaggio, incomprensibili e perciò concilianti. Prova un senso di dolcezza favorito dal tepore e dallo strano odore dell’aria e della terra. In attesa del sonno Soti cerca nella fotocamera un primo piano di Gaia. Ingrandisce l’immagine al solo viso e fino al taglio degli occhi con alta definizione dello scintillio delle pupille.

   Non avrebbe intrapreso a inquadrare la compagna di viaggio se non fosse stato mosso dall’impressione di una singolare somiglianza. Potenza di un riavvicinamento. È nel grande paese magico delle vite rivissute. Rivede il sorriso della compagna di liceo, riscopre il lampeggio degli occhi nel sentirsi chiamata, ricorda quel soprassalto del suo respiro.

   Non altro che il proposito, al ritorno a casa, di cercare le vecchie lettere che lei gli aveva scritto senza spedirle e che dopo alcuni giorni gli aveva consegnato con le proprie mani. Sceglierà qualcuna che gli fu letta con calda voce. Lo sguardo intermittente su di lui non coincideva con il racconto di vissuti del tutto secondari. Non l’essersi rincorsi in spiaggia e sulle dune, né le provocazioni a innestare tenere zuffe e assalti audaci all’ombra di tamerici e filliree dove era giunta la sorpresa come l’accendersi della luminaria di una festa. Nella lettera non ritornava sui baci, sugli abbracci, aspettandosi che fosse lui a riviverli in una scrittura di risposta, in un impulso a richiamare i sobbalzi del cuore. Soti però si limitava a missive brevi, a piegare su fraseggi scherzosi e disordinati ben lontani da significare meraviglia, incontenibile felicità. Lei si era adattata per qualche tempo a tale corso, stanca alla fine di un dono di sé non intelligentemente ricambiato.

   Riportò l’immagine di Gaia alla sua dimensione normale. Il gioco finisce qui, pensò, con la mia impertinenza fotografica. Lei è una donna sposata, abituale viaggiatrice in giro per il mondo. Nientepassaggio alla parola. Niente dialoghi in tono brillante che  appigli per contatti ravvicinati. Aavrebbero alimentato commenti ironici e dispetti nelle ragazze. Non future lettere.

   Si addormenta.

   Si svegliò quando gli giunsero sparate da diffusori dalla parte del fiume voci frastornanti di preghiera. Un solista in dialogo con il coro. Un mantra che si intuiva destinato a durare ripetitivo e ossessivo. Gli oranti non concedevano a lui altro riposo.

   Uscì in giro ascoltando le alte cantilene, fermandosi qua e là agli incroci dei percorsi sterrati davanti a cartelloni con figure barbute e con scritte in inglese che pubblicizzavano corsi di yoga salvifico. Un individuo speciale, c’era scritto, l’ideatore di quelle pratiche di disciplina aveva ricevuto una magica luce con conseguente levitazione corporale. Da tempo immemorabile, pensò Soti, l’uomo sfibrato dal lavoro cerca disperatamente qualche ora di riposo per sentirsi padrone del proprio pensiero nonché amico dei propri ricordi. Ecco la nascita della coscienza che poi qualcuno si ostina a chiamare luce o illuminazione o sollevamento dal suolo come per gli innamorati. Quando però la sosta per riprendersi dagli strapazzi è una abitudinaria ritualità, consegnata peraltro ad inni millenari, il pensiero forse finisce per girare solo sulla superficie delle cose.

   Vado a fotografare questi ossessi prima che sfiniscano me. Decise.

   Là dove senza più alberi il terreno rimaneva pianeggiante prima di abbassarsi verso la sponda del grande fiume una trentina di persone in vesti rosse, sedute su stuoie, formavano i tre lati di un quadrato fronteggiante un tendaggio con un piccolo altare dietro il quale il maestro yogin intrecciava la preghiera. Il solito collaudato esercizio per il passaggio da uno stato mentale tumultuoso ad uno sereno?

   Si tenne a distanza di non disturbo per fotografare. Manovrava con uno zoom che gli permetteva di riprendere anche leggere rughe sul viso estatico di un orante. Non era corretto indugiare, salvo a decidere di mettersi discretamente in posizione di rispetto, seduto per terra e a gambe incrociate.

Una donna aveva avuto la sua stessa intenzione. Gaia era in camicia bianca e jeans. Inclusa nella vastità dello scenario.

   «Anche tu chiamata dal chiasso devoto?»

   Lei levando la macchina per illuminarlo all’infrarosso: «Da non resistere a una certa inquietudine.»

   «Sei rimasta in tenda o sei andata al villaggio?»

   «Avresti un motivo per indovinare. Ti sei perso la visita al paradiso delle essenze e dei colori.» Si sfilò dal collo la cinghietta della fotocamera lasciando che risaltasse la collana. Un nodo lasciato lento l’accorciava. Non erano palline di legno ma proprio i semi dei frutti dal diametro di non più di un centimetro.

   «I semi del rudraksha?»

   «Sì. Dovrebbero avere effetti elettrici e risvolti positivi sulla salute. Tua figlia e Claudia hanno acquistato sia la collana che il braccialetto.»

   «Per essere sicure che così ornate sia irresistibile l’impulso dei ragazzi a toccarle, ad abbracciarle.»

   «L’effetto elettromagnetico secondo la tua visione occidentale.»  

   Soti sfiorò con le dita un segmento della collana. Sul viso di Gaia libero da segni di stanchezza rosseggiava il sole ormai calante sulla deserta pianura al di là del fiume. Lui le propose una passeggiata fotografica sulla sponda.

   «Mi fa impazzire questa cantilena interminabile. Comprendo comunque l’aspetto pubblicitario.»

   «Tu, Soti, ti limiti a cogliere l’aspetto teatrale della scena. Fai fatica a capire gente che si chiude in un atteggiamento di preghiera.»

   Gli mostrò sul display certe espressioni facciali che le avevano suscitato empatia.

   «Dovrei capirlo, Gaia, considerando che nei nostri melodrammi i canti corali più belli sono in realtà preghiere. Distinguerei però la preghiera collettiva come rivendicazione di libertà dalla preghiera a divinità inafferrabili come pratica di disciplina e di dominio.»

   «Bla bla bla. Non lo sai. Io invece so che sotto questo cielo ci siamo finiti anche noi.»

   Mossero verso il grande fiume. Il profondo abbassarsi del terreno fino alla corrente lasciava immaginare la sua portata nella stagione di piena. Alla loro destra alcuni chilometri più a monte, ad Allahabad, il Gange ha accolto le acque dello Yamuna, il fiume che bagna Agra fiancheggiando il Taj Mahal.

   La luce del tramonto si specchiava sulla ampiezza d’acque su cui calavano stormi di uccelli a creare macchie nere che si allungavano assottigliandosi. Lontane si vedevano barche ormeggiate con persone in passaggio tra quelle e la riva. Soti e Gaia cercando le inquadrature si distanziavano alquanto, perciò indotti a riprendere il gioco che li riavvicinava nell’incanto del paesaggio intorno. Discesero un tratto di sponda erbosa per seguire sull’alto margine un tratturo solcato da biciclette e mezzi agricoli.

   «Adesso batto le mani e gli uccelli si alzeranno. Sei pronta?»

   Confrontano il risultato. Belle immagini di voli in controluce con riflesso sulla corrente.

   Si erano lasciata alle spalle l’area destinata agli oranti. Era sparita la visione delle attrezzature di servizio oltre le file di tende. Il nuovo silenzio alle spalle favorì l’avvertimento sul loro orizzonte di un sordo ma gigantesco fragore. In direzione di Allahabad essi distinsero lontano e sull’altra riva il riverbero di una larghissima fascia di luci. Lì, le preghiere di una folla immensa erano levate all’etere da migliaia di diffusori. Un immenso misterioso fondale sonoro.

   Soti allungava scientemente i tempi di contemplazione. Lei parve adeguarsi. Il suo viso tornava al pallido con lo spegnersi dei fuochi crepuscolari.

   «Domani saremo finalmente al Kumbh Mela» lei disse.

   Un ragazzino e due ragazzine si avvicinarono di corsa da un sentiero in mezzo a campi coltivati. Scalzi tutti e tre. A parte i piedi l’aspetto era lindo. Occhi neri, vivaci. Fissavano i due turisti solitari e le loro fotocamere. Fu giocoforza ubbidire alle loro richieste di essere illuminati dai flash e poi di ammirarsi nei display. Ridevano. Le ragazzine accarezzavano Gaia e lei le lasciava fare.

   Intanto le ombre avanzanti consigliavano di invertire la direzione di marcia.

   «Se tu fossi venuto con noi nel giardino lussureggiante sulla riva del fiume avresti sentito qualcosa di magico nell’aria dai mille profumi.»

   I simboli. L’albero e il fiume. Lo stare e l’andare. Il bagno nell’acqua corrente tra sole e ombra. Aumentava il tempo del silenzio come pure il tempo del rispondere. Scorsero altri fotografi attardati sulla riva. Lontani.

   «Sarebbe bello, Gaia, che come altro effetto magico tu potessi indossare la collana per renderti invisibile.»

   «Perché?»

   «Io mostrerei le tue foto ai nostri compagni e tu ascolteresti non vista i commenti.»

   «Giusto per farmi spargere lacrime segrete.»  

   Ora di cena. Nella tenda allestita a mensa scendeva una luce stanca dai faretti appesi ai due pali centrali di sostegno.

   «Siamo qui, ti abbiamo tenuto libero un posto.»

   Claudia glielo indicava alla sua destra. Le sedie erano imbottite e rivestite di bianco. Lui non riuscì a mettere in piano la sua a causa delle ondulazioni del terreno che anche lì era coperto da teli di iuta. Capì presto che si trovava nel bel mezzo di una ilarità chiassosa alimentata dal racconto delle ragazze sull’avventura del pomeriggio.

   Sulla strada avevano incrociato i veicoli dei pellegrini. Auto vecchie e nuove con interi nuclei familiari e portapacchi stracarichi, torpedoni sormontati da valigie e fagotti, gente stipata in piedi sui cassoni dei camion o sul rimorchio dei trattori. In tanti percorrevano a piedi l’ultima tappa al Kumbh Mela; altri erano all’ultimo passaggio su carri trainati da buoi. I nostri avevano visto uomini e donne in gran parte vestiti nelle normali fogge indiane ma anche un buon numero di tipi eccentrici, asceti per non sapere come meglio classificarli, col segno del tridente di Shiva dipinto in fronte, il dothi a fasciare i fianchi, turbante, bastone e sacco più o meno gonfio in spalla. Difficile capire se si menavano in giro così tutti i giorni tra villaggi e nelle foreste o si erano travestiti per il carnevale religioso.

   Claudia stava raccontando che il primo contatto con i santoni lo avevano avuto una volta scesi al villaggio sulla riva del Gange. Era successo che uno di questi si era avvicinato a lei e a Sofia chiedendo la loro attenzione. A occhio un giovane della loro stessa età.

   «Mentre davamo risposte per soddisfare la sua curiosità sulla nostra provenienza gli abbiamo tolto col pensiero gli stracci di dosso immaginando anche i capelli corti e puliti. Beh, un uomo prestante non c’è che dire. Sotto le dipinture cineree come minimo poteva nascondersi un broker in una banca internazionale.»

   Sofia approfittava delle risate per interrompere l’amica. «Ma tu sei un asceta vero? gli abbiamo chiesto. E il fusto ad assicurarci che lo era e che conosceva le arti segrete per rendere felici le donne. Bastava che una di noi o tutte e due ci appartassimo con lui in un luogo ridente sulla sacra riva e all’ombra degli alberi.»

   E Claudia: «Temeva che quel suo travestimento potesse ispirare rigetto. Gli abbiamo assicurato che anche a noi, amanti del teatro, piace qualche volta mascherarci.»

   Sofia e Claudia, con l’intento chiarissimo di incuriosire i commensali, continuavano a riferire e forse a inventare particolari dell’incontro col giovane dall’aria di asceta della foresta. Interessanti, colte, di lingua sciolta, nella fase della vita in cui si attende ancora la grande occasione.

   Volsero lo sguardo al centro tenda accogliendo Gaia con battere di mani. Entrava tra gli ultimi per la cena. Sulla salwaar kameez azzurra con ricami trionfava la collana di semi magici.

   «Ecco una che è stata salvata dalla conoscenza troppo elementare della lingua inglese» disse Claudia, mentre l’interessata agganciava subito il senso della festosa conversazione e come a difendersi si accostava a Soti posandogli le mani sulle spalle. Forse anche a significare che lei un maestro spirituale l’aveva già.

   «Papà» ordinò Sofia «spostati e falle largo vicino a te.»

   La sedia inserita non voleva mettersi in piano stabile, così Soti dovette puntarla contro la sua. Dopo le mani sulle spalle un contatto più profondo era servito. Saliva il turbamento dal ginocchio su per tutto il destro fianco. Per mantenerlo era consigliabile non sbracciarsi troppo nell’intervenire nei discorsi.

    «Gaia era stata scelta dal guru al primo sguardo» continuava Claudia «ma lui ha vilmente mollato o per sua abitudine di sbrigare in fretta o per essersi sentito immeritevole del superbo fascino della signora.»

   Contenta dell’attenzione generale Gaia si rivolse alle due ragazze: «Grazie per il fascino superbo che solo alcuni uomini meritano. Voi invece vi siete salvate rivolgendovi al giovanotto ascetico in lingua molto chiara.»

   Soti di rincalzo: «Immagino che abbiate raggiunto alti livelli spirituali nella conversazione.»

   Sofia: «Ecco un padre noioso e bloccato sul lamento filosofico! L’uomo della city in divisa da guru ci voleva convertire al panteismo» aggiunse.

   «Non ci saremmo negate al panteismo» la interruppe l’amica «se lui fosse stato in grado di comprendere che spiritualismo e panteismo sono due momenti di un stesso respiro. L’anima ondeggia tra impulso di difesa e volontà di lasciarsi andare. Noi, una volta appartate con lui sulla sponda del fiume, avremmo contemplato sdraiate sulla sabbia e sotto il verde la meraviglia e la pace immensa della natura. Però non ci saremmo immerse nel fiume, nell’acqua sporca. La fusione dei corpi si addice solo nell’acqua limpida di sorgente.»

   «Ecco» riprendeva Sofia. «L’asceta proponeva un annullamento nello scenario di acque e terre, ma io conto sul primato dello spirito, anche se un maschio in tal campo si dimostra intimidito e freddino.»

   Andavano a cascata le battute per sollevare allegre approvazioni. Per Soti, che pur vi partecipava, il tutto divino era in relazione con la sedia posta non in piano.

   Attraverso fenditure di congiunzione della tenda giunse un lampo di luce. Si sentì il tuono. Qualcuno si alzò da tavola per sollevare il pesante drappo di ingresso.

15

I nostri attardati nelle chiacchiere del dopo cena uscirono all’aperto rimanendo stupiti dell’improvviso cambiamento del cielo. I lampi illuminavano le tende e tra i tronchi degli alberi si aprivano specchi di luce sulla lontana corrente del fiume. I maestri di meditazione erano pronti a sollevarsi dai cartelloni a un più deciso colpo di vento. I pavidi e solitari affrettarono il passo. I ragionatori dedussero che la tipologia delle tende piantate nel campo era adatta a stagioni secche, quindi non erano previste perturbazioni con piogge in quella zona dell’India a febbraio. Sparirono Sofia e Claudia con gli altri. I bagliori infittivano in tutte le direzioni mentre i tuoni giungevano sordi, lontani, forse perché liberi di rotolare sull’immensa distesa pianeggiante.

   Soti mosse con Gaia che in sandali sullo sterrato rischiava di trovarsi piccoli sassi malefici sotto i piedi. Non facile liberarsene stretta nel vestito indiano. Lei svoltava dove lui svoltava.

   «Qui è tutto energia. Cielo e terra. Si annuncia una gaia notte panteistica.»

   «Se Gaia ha paura viene a rifugiarsi nella tua tenda.»

   «Accosto il letto libero al mio» osò lui. Un lampo colse l’improvvisa fissità dei volti succeduta alla audacia delle parole.

   Nel buio aiutavano a orientarsi le lanterne accese all’esterno delle tende sotto le verande. L’interruzione dell’elettricità aveva spento le poche lampadine ai pali degli incroci. Cominciarono a cadere alcune gocce e si alzava il vento.

   Le tende erano adiacenti. «Allora, Gaia, vieni a sentir piovere da me?»

   Lei ci mise qualche secondo a superare lo smarrimento e a rispondere. La luce ambrata della lanterna modificava in riflessi bruni dorati l’azzurro del suo vestito col drappo cadente dalla spalla. «Non è detto che poi… piova» disse nascondendo il viso. Saette e brontolii del cielo parvero allontanarsi.

   La compagna di tenda già in ritiro faceva scorrere la cerniera per affacciarsi. «Che ci piova dentro?» chiese in apprensione ai sopravvenuti.

   Soti doveva rassicurarla. «No, signora. Pioverà solo fuori.»

   Il «buonanotte» restituito da Gaia a voce alta e piena indicava che era saltato il loro patto con le nuvole. Soti si preparò e si distese sul letto. Dalla verandina filtrava la luce della lanterna che aveva attirato sul telo centinaia di moscerini. La pioggia adesso picchiava sulla copertura come sui tasti di un pianoforte. Il pensiero resisteva al sonno per completare un quadro voluttuoso di possibilità mentre gli giungeva la voce di Gaia sia pure smorzata e interrotta da un ridere contenuto in quel che doveva essere l’affaccendarsi per la preparazione del riposo. Chissà come le ricorro nel pensiero, pensò, e se parlerà di me alla compagna. In cuor suo deve essere serena e una volta a letto si figurerà di rispondere al mio abbraccio.

   Una nuova folgore illuminò a giorno. Oh ce n’è di potenza nel tumulto del cielo! Qui le visioni panteistiche hanno una loro valida ragione, pensò ancora. Il sogno di specchiarsi in un’altra mente in mezzo a questo scatenarsi spettacolare della natura non è solitudine ma felicità. Altro bagliore e poi il tuono vicino. Prendeva a scrosciare forte. Parole inequivocabili di Gaia: “Se ho paura vengo da te”. Mettiamola allora come certezza il rispondere ad un abbraccio. Acqua e vento picchiavano di traverso contro la tenda. Già presentiva che il temporale avrebbe incanalato acqua all’interno perché il sottofondo non era a tenuta stagna. Senza sorprendersi vide dal lato della zona bagno che una macchia scura si allargava velocemente. Tutto scorre ma non arriverà a lambire il materasso, rifletté sarcastico. Tutta la pioggia che rovesciava il cielo non doveva fare molta strada per finire nel Gange, né intorno c’erano rilievi che potessero creare fiumane travolgenti. Si levò dal letto. Bastò la manciata di secondi perché le sue ciabatte di plastica affondassero in piccoli avvallamenti. Per fortuna era acqua filtrata dal tessuto di iuta e non fango. Anche la lanterna rischiava di rovesciarsi contro il telo e bruciacchiarlo. Doveva uscire e allontanarla, magari spegnerla. Fece scorrere in parte la cerniera sporgendosi. La stuoia era inzuppata mentre un largo ruscello copriva la pista sterrata. Ma già uno del personale sopravveniva per l’operazione di spegnimento. Normali torce di cellulari nell’allerta generale danzavano all’interno delle tende vicine. Gaia comparve anche lei a metà. Allungava il braccio per recuperare una sacca da sotto la veranda.

   «Come va?» le chiese.

   «Male, malissimo. Ci scorre acqua dappertutto. Si pesta sul bagnato. La mia valigia che era aperta per terra l’ho chiusa e riparata sul letto. E da te?»

   «Pazienza qualche minuto e posso galleggiare.»

   «Disgraziato!»

   «Vieni da me. È bagnato ma non si affonda. Ho un letto libero.»

   «Ti mando la mia compagna che è disperata.»

   «No, vieni tu.»

   «Cosa direbbe tua figlia?» Rientrò in tenda. Intanto veniva giù a secchi.

   Che avrebbe detto sua figlia? Precipitassero di schianto le nuvole prima che lui si preoccupasse dello sconcerto di Sofia. E magari si profilasse la possibilità di darle una mamma giovane e amica. Si richiuse dentro e si distese di nuovo convinto di un ripensamento di Gaia che continuasse o no la situazione di allarme. Questa notte o mai più. Lei avrebbe atteso il sonno profondo della compagna. Un leggero richiamo dalla veranda per farsi accogliere. E mentre i loro corpi erano abbracciati si aprissero pure un’altra volta sulla tenda le cateratte del cielo.

   Bisognava assicurarsi sulla situazione delle ragazze. Telefono muto, niente campo. Era però persuaso che dovevano essere ben sistemate nella zona di alloggiamenti considerati di qualità superiore. Esse magari già dormivano col conforto musicale della pioggia.

   Il vento rinforzò sbattendo i teli sui quattro lati. Lampi, fragori provenienti da tutte le direzioni. Nessun dorma, allora.

   E se qui sta arrivando un uragano che strappa, solleva e sbatte nella corrente del fiume tutto insieme con i tronchi schiantati degli alberi? Ma no. La natura si stava mostrando infuriata, ma non maligna. Sentiva passare voci molto concitate, non che avvisassero una situazione di pericolo.

   Accese la torcia del cellulare e constatò l’avanzamento delle infiltrazioni d’acqua. Non sarebbe bastato un giorno di sole cocente ad asciugare il terreno. Sentì la chiamata.

   «Papa, qui è un macello. Siamo in un lago. Nella zona bagno l’acqua arriva alle caviglie. Sgabello e sedia non bastano per tenerci la roba. Parte sta sui letti. Abbiamo contattato la guida perché ci faccia cambiare di tenda. Ha risposto che cercherà di provvedere. Tu come sei messo?»

   «È tutto infradiciato con pozze. Mi arrangio. Almeno non mi piove in testa.»

   «Ma qui il vento squarcerà la tenda. Che facciamo? Non potremmo chiedere di spostarci in un albergo?»

   «Albergo? Ma vi rendete conto dove siamo? Calmatevi, facciamo cambio. Vengo e vi aiuto a traslocare da me. Se l’acqua doveva arrivare ai materassi sarebbe già successo. La tempesta si va placando.»

   «Magari poi si trova per noi davvero la tenda asciutta.»

   Si sentivano voci all’esterno in italiano. Torce sciabolavano la loro luce. Aprì di nuovo la cerniera per guardar fuori. Giovani del personale in infradito e coperti con mantelli di plastica trasportavano le valigie dei turisti i quali seguivano sguazzanti in scarpe da trekking o in ciabatte.

   «Ci sono tende asciutte?» chiese ad uno di questi che riconobbe della sua comitiva di viaggio.

   «Ma che asciutte e asciutte! Andiamo ad aspettare nel tendone mensa che è più in alto e pare salvo. Intanto canalizzano con le vanghe.»

   «Canalizzano?»

  E perché non ci avevano pensato quando il sole brillava?

   Dall’apertura della tenda accanto spuntò di nuovo Gaia. Spettinata. 

   «Aspettiamo che canalizzino?» ironizzò avendo sentito le parole scambiate. «Soti, anche da te peggiora?» Qualcosa nel tono era vincente sulla irritazione per la prospettiva di una notte senza riposo.

   «Pozzanghere. E da voi?»

   «Vuoi venire a vedere?»

   C’erano solo due metri di separazione. Soti chiuse la cerniera della tenda e nelle sue ciabatte di plastica bagnate corse da Gaia. Scalza con pantaloni del pigiama arrotolati ai polpacci. Gli indumenti non rimessi nelle valigie erano appoggiati su comodini e spalliere dei letti. La compagna in uno stato di angoscia.

   «Siamo riuscite a contattare la guida» disse. «Dobbiamo aspettare finché non si trovi una situazione migliore.»

   «Anche solo per lei» aggiunse Gaia guardando Soti sotto il riflesso della torcia indirizzata al soffitto. Si capiva che stava riuscendo a dominarsi. Forse eccitata e convinta di una avventura da vivere nella sua pienezza. «Ricordiamoci che siamo qui per lo spettacolo del bagno sacro degli asceti. Per solidarietà lo facciamo anche noi.»

   «Non pensate di consolarmi» riprese l’altra rimasta distesa sul letto. «La guida ci ha espresso al telefono la sua tristezza per i pellegrini che sono adesso al Kumbh Mela. Sono milioni di persone. Non tutti riparati convenientemente. Il temporale viene da lì e pare che ci siano stati grossi allagamenti. Speriamo che abbiano trovato riparo i moltissimi che dormono all’aperto.»

   La furia del tempo si stava calmando. «Sono le undici» disse Soti rivolto a Gaia dopo aver guardato l’orologio. «Possiamo lasciar tranquilla la signora e osservare dalla mia tenda i lavori di bonifica.»

     Seguì un silenzio senza tentativo di ridere poi udirono parlare in inglese e quindi la chiara voce di Sofia. Affacciato con Gaia allo spacco di apertura Soti vide figlia e amica che si erano trascinate con i loro trolley reggendo una l’ombrello e l’altra il cellulare con torcia accesa. L’uomo con il sacco a cappuccio che trasportava le loro pesanti valigie era completamente fradicio. Chissà a quanti trasporti aveva dovuto provvedere.

   Le ragazze ristettero un attimo alla vista dei due insieme nella tenda che credevano di destinazione.

   Soti, corse all’ingresso della sua per accoglierle. Sentì Gaia che ancora non si era chiusa dentro.

   «Tranquille. Il peggio è passato. Buona notte.»

   «Buona notte» rispose Claudia. «Tu adesso ospiti Soti?»

   «Lo ospiterò se è necessario.»

   «Buona notte» aggiunse Sofia, che dirla arrabbiata era poco.

   Al lume delle torce esse cercarono di rendersi conto della nuova situazione. Si levarono le giacche bagnate. Soti non poteva che lasciare i letti alle ragazze e dormicchiare sulla sedia a sdraio ma anche quella risultava indispensabile insieme con lo sgabello per farci stare tutti i bagagli.

   «Sto impazzendo, sono esausta» proruppe furiosa Sofia. «Prima di domani sera di sistemazioni asciutte qui non se ne troveranno a meno che non cambiamo campo domattina. Uniamo i letti e di traverso ci stiamo tutti.»

   Compiuta l’operazione, le ragazze vi si buttarono togliendo gli scarponcini che Soti diligentemente appese a un’asta della tenda usando i lacci. Gli consegnarono quindi calze e jeans bagnati rimanendo in camicia e golfino e avvolgendosi ognuna in una coperta. Ebbero i due cuscini. Sofia senz’altro dire si era stesa sul lato a ridosso del telo della tenda voltando la schiena come a non volerne sapere più niente. Claudia stette in mezzo. Soti provvide a sistemarsi sull’altro limite con la quarta coperta a far da cuscino. Spense la torcia.

   «Mai mi sono sentita protetta così» esclamò ironica Claudia. E all’amica: «Posso addormentarmi abbracciata a te, Sofia?»

   L’altra non rispose e anzi si adattò meglio sul fianco piegando le gambe. Gli altri due scoppiarono a ridere. Il vento sbatteva il telo.

   «Buonanotte Sofia.»

   «Sonno profondo, bambina mia.»

   Nessuna risposta. Dopo qualche minuto l’amica sentenziò: «La piccola finalmente dorme.»

   Ancora nessuna reazione. Claudia si mosse pesantemente come ad adattarsi alla congiunzione non perfetta dei materassi e urtando contro Soti. E all’amica: «Dormi, piccina mia, così finalmente posso abbracciare tuo padre.»

   «A parte tutto questo guaio» disse Soti «Sofia è inviperita perché nessuno si è offerto di aiutarvi tra quelli che vi hanno ammirato e corteggiato in questi giorni di viaggio.»

   «Speriamo che siano annegati.»

   Ancora niente dalla rabbiosa.

   E lui: «Staranno invocando le dee del cielo.»

   «Senza immaginare che una dea terrena ha dovuto rifugiarsi nella tenda del padre.» E dopo una pausa all’amica: «Anche l’amica l’ha seguita, vero, Sofia?»

   Attesero inutilmente una reazione.

   Claudia aveva ancora voglia di scherzare. «Sappiamo che stai fingendo per sentire cosa facciamo noi due.» Si girò tutta sul fianco verso Soti portandogli un braccio sul petto.

   Devo gelare o avvampare, lui si chiese lasciando passare del tempo prima di decidersi se osare una qualche partecipazione, ma già Claudia si staccava per ritornare supina con ginocchia levate e un avambraccio sotto la testa. Continuava con le provocazioni.

   «Io adesso telefonerei a qualcuno di quei vigliacchi per informarli su come siamo ben protette.»

   Si aspettava che Sofia sbottasse con un “Allora basta con le cretinate! Dormite o state zitti.” Ma quella, voltata di là non reagiva. Tra i soffi del vento il respiro del sonno parve vero.

   «Niente più ninna nanna per Sofia» sentenziò Soti. Sull’estremo spazio sperava di non precipitare giù. Si chiedeva se di là Gaia avesse sentito le loro risate e voci alte e se prima di addormentarsi si fosse figurata la piega che prendeva la notte. Le ore invero stavano giocando con le distanze fisiche. Tra tenda e tenda intercorrevano sogni d’attesa e realtà impreviste.

   Pioveva con meno impeto. I brontolii del cielo si allontanavano. Fuori non cessavano i passaggi di voci e luci. Forse continuavano i trasferimenti dei più disagiati in tendoni adibiti a servizi.

   Anche Claudia adesso dormiva. Per Soti era invece solo un cercar riposo delle membra. Doveva mantenersi su quella estremità dei letti per non crollare addosso alla ragazza. C’era sufficiente chiarore perché lui potesse osservare il viso della dormiente che per la ristrettezza e la scomodità si rigirava di continuo sfiorandolo. Sentiva in vicinanza chiari colpi di vanga per far defluire l’acqua.

   Finalmente si addormentò. Era su un tratto di costa marina e nuotava con Claudia che lo urtava con il fianco. Muovevano paralleli e giungevano nel mezzo di un estuario forzando la corrente. Risalivano un fiume le cui rive si stringevano infittendosi di vegetazione e di grandi alberi. Finalmente accostavano a una sponda sabbiosa sulla quale riposavano abbracciati. Lei si faceva promettere di essere riaccompagnata nel nuoto di ritorno verso il mare.

   Quando all’umidità cominciò ad aggiungersi il freddo notturno Sofia si svegliò levandosi col busto per afferrare la giacca appesa al montante della spalliera e aggiungerla alla coperta. La manovra destò gli altri due. Soti divise con Claudia la coperta che aveva tenuto sotto la testa. Sperò di dormire ancora e che il sogno riprendesse da dove era stato interrotto. Una dea del panteon indiano gli si era stretta vicino scesa dal cielo nuvoloso.

   All’alba qualcuno sotto la veranda diede una voce. Sotì andò ad aprire uno spiraglio nella cerniera. Un uomo del campo annunciò che accompagnava le signorine alla loro tenda dove si era provveduto a stendere teli di plastica. Risvegliate non sprecarono tempo e parole. Infilarono i jeans, calzarono gli scarponcini ancora bagnati e via con le loro cose. Un cielo limpido prometteva di asciugare tutto velocemente.

   Il temporale aveva dilavato il terreno che si vedeva solcato dai canaletti scavati nella notte. Sedie venivano portate all’aperto per posarvi gli indumenti da esporre al primo sole. Capannelli di turisti confrontavano l’entità dei disagi criticando il sistema irrazionale di dislivelli nei settori del campo. Tutti avevano gli occhi pesti.

   Dopo la colazione, essendo ancora presto per la partenza al Kumbh Mela, Soti si era diretto verso la riva del fiume. Giunto in prossimità della zona riservata agli yogin vide che alcuni di questi parlavano con Gaia e le ragazze. Si avvicinò e sentì che venivano invitate a partecipare al rito del fuoco sacro. Esse accettarono convinte anche dal numero di turisti che con le loro macchine fotografiche affluivano a fare cerchio intorno. Quindi ognuna in coppia con un yogin sedette a gambe incrociate a un lato di un piccolo recinto di pietre a un due metri dall’altare al quale il maestro dal quarto lato voltava le spalle. Tappeto e cuscini proteggevano gli oranti. Un sole basso penetrava ormai per buona parte lo spazio sotto il telone.

   Fu accesa una fiammella poco visibile alla forte luce del mattino e cominciò il mantra del guru, preghiera verosimilmente al dio, al sole, ma forse anche al fiume che rendeva il luccicore della sua corrente. A tratti il recitativo veniva interrotto e maestro e yogin pronunciando un verso sempre uguale si chinavano insieme con le tre mute ospiti ad alimentare un piccolo fuoco con un fuscello tolto dal piccolo fascio di erba secca che tenevano in mano. La cerimonia imponeva un atteggiamento di rispetto ai curiosi intorno, i quali in verità molto discretamente riprendevano la scena.

   Gaia assorta, estatica, con le braccia abbandonate fissava un punto vuoto, un oggetto trasparente come a concentrarsi su una nuova condizione d’essere, su un nuovo sentimento obbligato a sprigionarsi libero. La fotocamera di Soti riusciva a cogliere il leggero velo di sudore sulla fronte colpita dai raggi solari. Sofia, anche lei nella scomoda posizione, teneva il capo leggermente chino a limitare il campo visivo al quadrato di pietre, come a chiedere alla fiammella che si trasformasse in grandi vampe e falò di festa per un sogno divenuto realtà. Claudia invece, forse partecipando meno stanca e più sveglia all’ascolto della preghiera e al ritmico inchino, muoveva a tratti lo sguardo verso la piccola folla dei curiosi. Nella consapevolezza di essere anche lei sole e fuoco.

(continua)

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