di Rosario Coluccia
Il tema cattura l’interesse dei lettori: nell’italiano contemporaneo si va estendendo l’uso del “tu” anche tra interlocutori che non si conoscono (o si conoscono poco) e quindi dovrebbero avere relazioni formali (commesso e cliente, venditore e acquirente, ecc.). È normale questo uso crescente del “tu”? Come va giudicato il fenomeno? Se un barista pluritatuato e con il codino tratta confidenzialmente con il “tu” uno sconosciuto anziano cliente viola contemporaneamente le regole del buon senso, della buona educazione e della lingua. A volte l’interlocutore a cui capita una simile avventura resta interdetto. Non tutti hanno la prontezza di Umberto Eco che, ad una sedicenne che lo trattava con il “tu”, replicava: «Gentile signorina, come Ella mi dice…». Facendo entrare in crisi (senza alzare di un solo decibel la voce) la malcapitata ragazza, la quale probabilmente non conosceva altro pronome personale e avrà pensato che quel signore affabile e un po’ strano veniva da un mondo sconosciuto, forse da uno di quei vecchi film che qualche volta passano in televisione. A quel punto, in difficoltà, la sedicenne chiudeva il rapidissimo dialogo con un “Buona giornata”», rinunziando al “Ciao” usato abitualmente.
Il barista del nostro esempio e la ragazza che interagiva con Eco non intendono insultare, parlano normalmente così, trasferiscono nella loro conversazione i modelli televisivi («Uomini e donne», «Amici») e i social a cui sono abituati. Senza rendersi conto che la lingua possiede anche altre forme, che bisogna saper variare a seconda dei momenti. Sintomo della perdita di memoria che caratterizza la società contemporanea: viviamo appiattiti in un eterno presente che per molti ha un solo tono, dimenticando l’importanza (e il fascino) della complessità che il passato ci consegna.