Nuove Segnalazioni Bibliografiche 31. La biografia di Antonio Gramsci

La narrazione segue la cronologia della vita di Gramsci (1891-1937), dall’infanzia e adolescenza trascorsi in Sardegna fino al trasferimento a Torino nel 1911 per gli studi universitari. Torino, l’ex capitale d’Italia, studiata da D’Orsi nell’anteguerra e nel dopoguerra, la città che sarebbe diventata – e già in parte lo era all’arrivo di Gramsci – la capitale industriale della Penisola, la Pietrogrado d’Italia. Qui si colloca l’esperienza fondamentale dell’Ordine Nuovo, fondato il 1° maggio 1919, il giornale pensato per dar voce alla classe operaia, e che, nell’agitatissimo primo dopoguerra, avrebbe accompagnato il movimento di rivolta, gli scioperi e le occupazioni delle fabbriche del “biennio rosso” (1919-1920). Sennonché, come ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, così al “biennio rosso” seguì il “biennio nero” (1921-1922), ovvero la repressione di quel movimento da parte del padronato che si avvalse delle squadre fasciste per stroncare la protesta degli operai. Aveva perso – e i fatti lo avrebbero presto dimostrato – lo Stato liberale, non solo il movimento socialista, diviso al suo interno e incapace di opporsi alla deriva totalitaria. Gramsci visse questo fallimento come momento fondamentale della propria esistenza e sulle sue cause non cessò di interrogarsi per tutta la vita. Aveva vinto il suo antico compagno di partito, ed ora diventato suo antagonista, Benito Mussolini, che presto si sarebbe trasformato nel suo aguzzino.

Gramsci nel 1922 parte per Mosca per sottrarsi alla furia fascista e stringere i legami col Comintern ovvero con l’Internazionale comunista. Da Mosca, passando per Vienna, tornerà in Italia nel 1926 come “onorevole Gramsci”, essendo stato eletto deputato del Parlamento italiano nelle elezioni del 1924. Egli conta sull’immunità parlamentare: niente di più sbagliato! Il fascismo, con la complicità della monarchia e di gran parte della classe dirigente, ha ormai trasformato lo Stato liberale in Stato totalitario e dunque Mussolini può dare inizio con Gramsci al perverso gioco del gatto col topo. Dapprima nel 1926 Gramsci conoscerà il confino a Ustica, poi vivrà di carcere in carcere fino al 1937, anno della sua morte.

Come sia stato possibile che proprio negli anni terribili, durante i quali la sua salute fisica andò progressivamente peggiorando, nel chiuso di una cella egli abbia elaborato un originale pensiero politico, che oggi viene studiato in tutto il mondo, lascia a dir poco stupefatti. Forse bisognerebbe convincersi che furono proprio quelle condizioni biografiche e storiche a determinare la visione del mondo che Gramsci maturò in carcere affidandola alle pagine dei Quaderni e delle lettere, che, pubblicati nel dopoguerra ad opera di Palmiro Togliatti, diventarono una lettura obbligata di gran parte degli intellettuali italiani. Era il pensiero di uno sconfitto che finalmente, sia pure post mortem – ma questo è secondario nella storia delle idee politiche –, trovava il suo risarcimento e la sua affermazione. Per dirla con D’Orsi, che cita dai Quaderni del carcere, “Lottare per un mondo nuovo significò sempre per Antonio Gramsci lottare per una nuova cultura, cioè <<per una nuova vita morale che non può non essere intimamente legata a una nuova intuizione della vita, fino a che essa diventi un nuovo modo di sentire e di vedere la realtà>>” (p. 658). Colpisce l’insistenza dell’aggettivo nuovo, che richiama, in una linea di pensiero unitaria e coerente, l’ ”Ordine Nuovo” dei tempi torinesi. Nuovo non è mai il tempo presente, ma quello futuro, il tempo della visione politica. Forse è quest’idea che diede a Gramsci la forza di scrivere in carcere. Il tempo presente è il tempo della critica, della lotta, della sana e sincera opposizione ad ogni forma di mera conservazione e oppressione. Antonio Gramsci insegna ancora alle giovani generazioni che a loro appartiene il tempo futuro, e le spinge così a prepararsi al meglio, perché questo è il tempo della politica.

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