Il cellulare fa parte delle nostre vite, nessuno si sogna di respingerlo. I ragazzi della “Generazione Z”, nati entro il 2010, considerano il cellulare più o meno una protesi naturale da cui non riescono a separarsi neanche per brevi periodi, neanche quando vanno a dormire. Per non parlare di quelli ancora più piccoli: ognuno di noi avrà visto bambini appena in grado di camminare che maneggiano con disinvoltura un cellulare. Questa è la realtà, a cui si affiancano indizi significativi. L’esperienza quotidiana di utilizzo da parte dei giovani di smartphone e tablet spesso testimonia lo sfruttamento superficiale e parziale, a volte distorto, delle enormi potenzialità di tali strumenti.
Ci sono rischi notevolissimi. Ricerche serie mostrano che l’uso smodato delle tecnologie determina una caduta nella capacità di scrivere delle giovani generazioni, con grafie spesso illeggibili e strani miscugli di stili e caratteri nelle stesse parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Ne viene compromessa la manualità: molti alunni delle scuole elementari hanno difficoltà a usare le forbici e compiere gesti semplici come dividere un foglio in quattro o allacciarsi le scarpe. Ancora più gravi sono i problemi di apprendimento. La caduta che investe la capacità di scrivere correttamente comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni grafici. L’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Di più. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa coerente. La tecnologia abitua i bambini a credere che c’è sempre una risposta all’esterno, e non nella loro testa. L’umanità si disabitua a pensare.
Manfred Spitzer, neuroscienziato, nel 2013 scrisse Demenza digitale, rilevando i danni mentali che nascono da un uso dissennato degli strumenti tecnologici. I quindicenni che raggiungono i migliori risultati in lettura e matematica sono quelli che utilizzano le tecnologie meno della media dei loro compagni. In alcune scuole svizzere, finlandesi e svedesi l’uso delle tecnologie è inibito fino ad una certa età o fortemente limitato. Negli Stati Uniti rientra nelle scuole la scrittura corsiva a mano, quasi scomparsa in quella società.
Certo. Non ci sono ricette semplici di fronte a problemi complessi. La tecnologia non va demonizzata né possiamo fermare la modernità che avanza. L’apprendimento è un procedimento complesso. Tradizione e innovazione devono coesistere.
Centrale, come sempre, è il ruolo degli insegnanti, chiamati a misurarsi con il nuovo senza chiusure, con flessibilità e intelligenza. Sono i buoni insegnanti a fare una buona scuola: le tecnologie, usate con intelligenza, al più possono aiutare.
[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 20 settembre 2024]