La travagliata vicenda del sepolcro del Gattamelata a Padova

     Domenico Arcangeli2 afferma: “Il matrimonio fu celebrato (nel 1410, ndr) in modo solenne, gli invitati, tutti di alto grado sociale gareggiarono in magnificenza e lusso. Gli addobbi furono sfarzosi e i banchetti opulenti con tanto di paggi e menestrelli vari a far da cornice alla cerimonia. Alle nozze prende volentieri parte anche il popolo, il quale da’ suoi festosi plausi ed auguri traea qualche guadagno o in doni di confetture o denaro, e talvolta divertivasi in pubblici spettacoli, come sarebbero giostre, corse, tornei, balli, commedie e che so io”.

E ancora viene descritta la contentezza di Giacoma nel giorno del suo matrimonio: “Giacoma era meravigliosa ed emozionata nel ricevere da parenti ed amici complimenti, auguri, dolci parole, fiori, doni, canti e suoni. Tutti gli invitati brillavano per fulgide gioie, per aurei vezzi, per abiti di broccato d’oro o di argento, o veramente di raso e velluto di colore vario garbatamente ricamati a studio in oro argento e seta.”

     E ancora: “da due belli robusti virtuosi giovani, caldissimi d’amore non potean nascere che figli belli vigorosi e buoni”. Infatti, al Gattamelata ne vennero da Giacoma sei, l’uno più bello dell’altro, cioè un maschio e cinque femmine. I loro figli: Giovanni Antonio, anch’egli condottiero, morto nel 1456 e ultimo nato dopo cinque sorelle; Lucia andata in sposa nel 1430 a Mannadoro Antonio dei Landi di Todi; Polissena Romagnuola che sposò Tiberio di Conte Brandolini; Antonia moglie di Lancillotto di Luca Antonio di Narni; Angela moglie di Zuanne dei Massei di Narni; Paola Bianca detta Todeschina sposata ad Antonio di Ranunzio dei conti Marsciano”.

     La coppia andò ad abitare a Montagnana (Padova) in un palazzo che alla fine del XV secolo divenne proprietà della famiglia Pisani e nel 1770 fu acquistato dalla famiglia Chinaglia, proprietari di terreni e poi industriali. Alla morte di Luigi Chinaglia, non avendo avuto figli, il palazzo passò alla sorella sposata in Pomello. Quindi, oggi il palazzo è proprietà della famiglia Chinaglia-Pomello. In quel palazzo abitò anche il figlio Giannantonio fino alla sua morte.

      Ma ad un certo punto la vita del Gattanelata cambia corso. Il Gonzati3   scrive: “ Il gran capitano delle armi veneziane, dopo aver riportato splendide vittorie sulle rive del Benaco e dell’Adige, riposava in Padova sopra gli acquistati allori, quando, colpito d’apoplessia, già presentiva la fine della sua vita. Qui, pertanto, facea testamento li 30 giugno 1441. Del suo cadavere disponeva che nella chiesa del Santo (basilica di Sant’Antonio di Padova, ndr) gli fosse eretto lapideo onorevole sepolcro, come alla magnificenza di sua persona si conveniva.  Legava perciò una somma dai 500 ai 700 ducati e non più, lasciando agli esecutori testamentari Giacoma della Leonessa sua moglie, Gentile  Beccarini  (cognato) e Michele da Soria libera facoltà di costruire una cappella, dove in pace dormissero le ceneri sue, e fosse lo spirito consolato dalle preci dei fedeli, dai sacrifizi dei sacerdoti”.

     Se non fosse morto a Padova e dintorni, stabiliva che il suo corpo venisse portato a Narni e sepolto nella chiesa di S. Giovenale dove avrebbero dovuto costruire una cappella in onore di S. Francesco.  Erede universale era dichiarato il figlio Giannantonio, che allora aveva quattordici anni, per cui esecutrice testamentaria era designata la moglie, cui lasciò 500 ducati d’oro, ma anche l’impegno di cercarsi una casa congrua alla sua persona, per un valore di 2.000 ducati d’oro, nel caso decidesse di non coabitare con il figlio a Montagnana. Alla sua morte, avvenuta a Padova nella casa sita nell’attuale via Vescovado 61, il 16 gennaio 1443,  il Gattamelata  “ebbe funerali splendidi a spese dello Stato che volle così  onorare la sua fedeltà oltre che la sua bravura e coraggio in guerra”. Gonzati4 dice: “Trascorsero quattro anni dopo la sua morte, e neppure trattavasi di erigere la cappella. Non era debito degli eredi, non degli esecutori testamentari il costruirla, perché il Gattamelata non aveva espresso che il sol desiderio. Ma Giacoma che altamente apprezzava il valore dell’estinto marito, ella che sentia nobilissimamente, volve superar di gran lunga il voto manifestato dal testatore. Dall’altro lato vedeva che ad edificare una degna cappella con onorevole sepoltura non bastava il denaro stabilito dal trapassato, laonde stavasi in forse”. La donna, di fronte a questa dura realtà economica, non era preparata, perciò si arrese in attesa che Dio le venisse incontro per attuare la volontà del marito.

     Alla fine del 1446 giungeva a Padova Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi)5 attratto dalle ottime offerte di lavoro prospettategli dall’amico e mecenate Palla Strozzi, anch’egli esule fiorentino.  Appena giunto a Padova il Donatello si mise “in contatto con i frati del Santo per progettare l’altare maggiore, che doveva comprendere molti lavori in bronzo di varie forme e misure […] e  senz’altro avrà incontrato la vedova del Gattamelata che faceva frequenti capatine alla basilica sia per incontrarsi con il suo padre spirituale (padre Giampietro da Belluno, ndr) sia per vedere se si apriva qualche spiraglio per la cappella tomba del marito. Il Donatello aveva saputo dai frati del Santo che la vedova del grande Gattamelata era in angustie economiche, perché per erigere la cappella voluta dal marito, i 700 ducati da lui lasciati allo scopo non erano sufficienti, in quanto dicevano ci voleva quasi quattro volte tanto” 6; allora Donatello “si offrì di fare un sepolcro-monumento al marito di lei”. Il lavoro era stato pattuito per 700 ducati, ma alla fine furono spesi 1650 ducati. E vi concorse anche il figlio “Giannantonio, ricorrendo all’eredità lasciatagli dal padre e […] fu talmente inebriato di gioia nello scorgere suo padre in vesti e atteggiamenti d’imperatore romano, che non gli spiacque aggiungere del suo al sommo artista, pur di vedere suo padre immortalato sul piedistallo a fianco della Basilica del Santo” 7. Era il 1453, a quasi dieci anni dalla morte del condottiero Gattamelata. E a proposito della statua equestre del Gattamelata, Oliviero Ronchi8,appassionato cultore di Padova così scrive: “Con la poderosa armatura, ingentilita da ornati e genietti, sta sul robusto cavallo di battaglia. È a capo scoperto e, il maschio volto latino esprime indomita volontà. La destra tende il bastone di comando e il gesto imperioso e misurato pare indichi alle milizie, i movimenti che assicureranno il trionfo delle armi”.

     Purtroppo Giannantonio “non visse a lungo dopo la glorificazione del padre; colpito alla testa da una scheggia nel 1453 durante l’assedio a Castiglione delle Stiviere […], fu reso inabile a combattere […] e dovette ritirarsi nella sua casa a Montagnana, dove morì quasi trentenne nel 1456, dopo aver espresso il desiderio di essere sepolto al Santo, accanto al padre”.

Tomba di Giannantonio.

     Venezia per il monumento equestre del Gattamelata  (Zaramella)9 “non diede neppure una monetina simbolica di partecipazione. La Serenissima l’aveva elevato socialmente, rendendolo patrizio veneziano, gli aveva offerto il palazzo dei generalissimi, il feudo, gli aveva assicurato una vecchiaia dignitosa, grazie al suo grado perpetuo di generalissimo della Repubblica, ma non era cos’ generosa col denaro pubblico da elevare monumenti ai suoi generali. Quindi non fu certamente Venezia ad incaricare Donatello a mettersi all’opera per la statua equestre al generalissimo. Venezia non finanziò la statua del Gattamelata, ma tollerò, permise fosse eretta, non si oppose a che fosse eretta, e avrebbe potuto farlo; e forse quella lode al Senato veneziano come rileva l’epitaffio che si legge sulla sua tomba aveva proprio lo scopo di aggraziarsi Venezia affinché lasciasse fare”.

     Con la morte del figlio Giannantonio a Giacoma della Leonessa, moglie del Gattamelata, “la più dolorosa delle sventure le aprì l’adito di satisfare all’indole sua generosa, senza contravvenire alla volontà del marito […] e mandare ad effetto il suo […] nobile divisamento […]. Or più non trattavasi di un solo sepolcro, ma di due, non di una cappella per suffragar l’anima di uno soltanto, ma di tre, intendendo anche Giacoma di essere tumulata nello stesso luogo, vicina al marito e al figlio. Difatto il 5 novembre del 1456 si domandava ed otteneva di aprire il muro della nave destra, estendendosi verso meriggio nel chiostro per erigervi la cappella, che secondo il volere del Gattamelata si intitolasse a s. Francesco, e giusta la divozione di Giacoma, a s. Bernardino (morto nel 1444 e canonizzato nel 1450). Per ciò godeva di ambedue i nomi. Come volle la pia, così avvenne. Sotto la terza volta della detta nave si aperse il muro, si voltò un grand’arco acuto, si costruì la cappella”. (Zaramella) 10.

Ma, “ad erigerla, ad ornarla, a corredarla di sacre suppellettili, a dotarla per l’augusto sacrifizio, invece dei 700 ducati, come volle Erasmo, furono spesi 2500 ducati d’oro, lo che dichiarava li 23 maggio 1459 in un suo codivillo la medesima fondatrice. Da questo si scorge che circa due anni e mezzo corsero dall’ottenuto permesso al compimento della fabbrica, e che poi non ci rimaneva se non se da dipingere le pareti e le volte, al qual tempo aveva provveduto la testattrice; con questa condizione che il tutto si facesse giusto il parere e il consenso del padre maestro Giampietro da Belluno, padre spirituale di Giacoma e di suo figlio defunto. Era costui un cenobita dei più solerti; aveasi cattivato l’animo della gentildonna sì strettamente ch’ella niente voleva, niente faceva senza l’assenso di lui. Era Giampietro sì confidente e caro alla casa Gattamelata che per antonomasia chiamavasi Gattesco. Fu il bellunese che diresse la costruzione di questa cappella, egli che la fece ornare e dipingere dai più valenti pennelli di quell’età, da divenire oggetto de’ più distinti della Basilica. Giacoma aveva ordinato che “ se ornassero le pareti di pitture e il cielo si tingesse di azzurro seminato di stelle d’oro”.


Cappella del Santissimo.

     E Sartori11 riporta il testamento di Giacoma del 25 aprile 1457 in cui si diceva: “nel caso che morisse al di qua del Po, ordina d’essere sepolta a Padova, nella chiesa del Santo, dove ha ordinato che sia costruita una cappella sotto l’invocazione di s. Francesco e s. Bernardino”.

     I resti del Gattamelata rimasero senza monumento sepolcrale dal 1447 al 1453, poi riposarono dal 1453 al 1458 nella statua equestre e dal 5 dicembre 1458, poiché la cappella architettonicamente era finita, anche se non ornata, furono portati trionfalmente nella basilica e riposti nell’arca della cappella, come pure quelli del figlio Giannantonio.

     “Tra gli affrescanti di questa cappella ci furono: Pietro Calzetta12, Matteo da Pozzo13 e Jacopo da Montagnana 14 che vogliono alcuni che fosse discepolo dello Squarcione15, ma la squisitezza del suo pennelleggiare ce ‘l dice più presto alunno della scuola bellinesca. Qui operava tra il 1476 e il 1477, conducendo a finimento […] opere che non avevano a durare nemmeno due secoli. Morta Giacoma nel settembre 1466 fu poi il tutore e suocero di Caterina Gattesca, (figlia naturale di Giannantonio, andata in sposa a Francesco dei Dotti), l’Antonio Francesco dei Dotti a scegliere il pittore Calzetta per dipingere una metà della cappella del Gattamelata al santo ‘cum figuris et historis’ di s. Francesco e s. Bernardino, secondo quanto richiesto dalla vedova del conduttore”. (G. Danieli in Iacopo da Montagnana, 2002)

     Nella cappella detta dunque del Gattamelata ci sono le due tombe, rispettivamente sulla parete di sinistra il padre e di destra il figlio, che sono la sola parte superstite quattrocentesca della cappella e furono opera dell’architetto Giovanni da Bolzano16 e dello scultore Gregorio d’Allegretto17.  E Zaramella18 così scrive a proposito dei sarcofagi: “Questo sarcofago (del padre, ndr) come quello del figlio che è di fronte, risponde perfettamente all’architettura di tutta la cappella […]; sul coperchio dell’urna giace il guerriero armato giusta il costume del tempo […], nello sfondo dell’arco sono dipinte insegne marziali, e a tutto rilievo furono messi il bastone del comando, l’elmo e la spada. L’epitaffio sotto il sarcofago di Erasmo recita: “Dux bello insignis, dux, et virtutibus armis inclitus atque animis Gattamelata fui. Narnia me genuit, media de gente, meoque imperio venetum sceptra superba tuli. Munere me digno, et statua decoravit equestri ordo senatorum nostraque pura fides” ed è di Porcellio Napoletano19.  

       Zaramella20 dice: “Le fattezze del Gattamelata non sono quelle del settantenne decrepito, ma dell’uomo nel pieno della sua forza[…]; poche e piccole le diversità del sarcofago dirimpetto del figlio: il volto più giovanile; logico aveva appena 28 anni; le vesti più esili, quasi leggera tunichetta; la spada gli giace  coricata al fianco sinistro; e le armi sono solo dipinte mentre quelle del padre sono a tutto rilievo”.  Sotto la tomba del figlio si legge: “Te quoque, Ioannes Antoni, insitia fata morte licet doleant, eripuere tamen. Clara tibi facies, nec non victricia signa: in qua acie virtus fulminis instar erat. Unica spes hominum nam tu juvenilibus annis consilio fueras, et gravitate senex. Gattamelata pater decorant pietasque, fidesque ingenium, mores, nomen, et eloquium di Galeotto Marzio21. Sull’altare della cappella c’era una pala opera dei tre Bellini padre e figli22. Sventura volle che cotesta eziandio sia andata smarrita nelle innovazioni del 1651. Forse passò ad arricchire qualche pinacoteca straniera. Il Polidoro23   l’ha veduta al suo sito e ne tramandò la sottoscrizione: Iacobi Bellini Veneti ac Gentilis et Ioannis  natorum opus MCCCCIX. Ma Gentile e Giovanni Bellini nel 1409 non erano ancora nati e nel 1436 Gentile aveva 15 anni, dieci Giovanni. Leggasi adunque MCCCCLIX;  ed infatti non prima del 1459 parlasi di pitture nei documenta che riguardano questa cappella. Il Polidoro nel copiare ha omesso la cifra L”.

Zaramella24 scrive: “Grazie alla struttura gotica aggraziata dall’arco d’ingresso molto alto con gioco di colori bianco, nero e rosso, da quei costoloni della volta molto in rilievo, e dalle ventiquattro colonnine tortili che davano risalto e profondità alle dodici lunette; grazie alle bellissime tombe di puro rinascimento, agli affreschi del Calzetta e di Jacopo da Montagnana e alla devota e luminosa dei Bellini, la cappella dei Gattamelata poteva certamente stare degnamente accanto ed alla pari della cappella dell’Arca [] e a quella di s. Giacomo … a quella del beato Luca.

Le donne seppellite nella cappella Gattamelata sono: Giacoma da Leonessa che muore il 14 settembre 1566; Caterina Gattesca, figlia naturale di Giovanni Antonio Gattamelata e quindi nipote di Giacoma, morta probabilmente di parto alla fine del 1476 e un’altra Giacoma, figlia naturale di Gentile da Leonessa che probabilmente morì nei primi anni del 500.

     Con la morte di Giovanni Antonio si estinse la discendenza maschile dei Gattamelata e subentrò come erede con diritto di giuspatronato sulla cappella (istituto giuridico esistito in passato e che si applicava a un beneficio ecclesiastico, altare, chiesa ecc. e riguardava la relazione tra il beneficio e colui che aveva costituito la dote del patrimonio del beneficio stesso) la discendenza dei Lion o Leoni che vi pose nella cappella i suoi familiari defunti.

Ma come mai i Lion o Leoni c’entrano con la cappella del Gattamelata?  I Lion erano una importante e ricca famiglia padovana, legata al denaro e al commercio; era una famiglia di cambiavalute e banchieri, avevano una loro banca ed un ruolo di primo piano nel Consiglio cittadino, nell’Arca del Santo, nel Monte di Pietà ecc. I rapporti Lion-Gattamelata risalgono al periodo in cui il Gattamelata era capo di una importante compagnia di ventura, quella dei Gatteschi. Il Gattamelata aveva bisogno di appoggi a banchi, a botteghe di cambio per poter pagare i soldati al suo seguito. Pertanto si rivolgeva alla banca dei Lion che era anche la banca di riferimento della Serenissima per le  esigenze finanziarie dovute alle continue guerre in cui era coinvolta. Poi i rapporti Gattamelata-Lion si rafforzarono in seguito con il matrimonio delle tre figlie di Gentile della Leonessa (fratello di Giacoma, nato nel 1408 e morto nel 1453, condottiero) e precisamente Milla, Battistina e Tarsia che sposano rispettivamente Francesco, Antonio e Jacopo Antonio di Lionello Lion.  E Zaramella25 a proposito della cappella scrive che i Lion “ne furono estromessi nel 1700, perché la cappella rimanesse solo dei Gattamelata. E qualcuno aveva pensato che anche Giacoma della Leonessa fosse stata estromessa, proprio lei [] che più di tutti meritava di rimanervi, perché a buon diritto era la sua cappella alla pari di Erasmo e Giannantonio. La riscoperta di frammenti tessili dalle tombe Gattamelata al Santo sono gli unici tessili di lusso del sec. XV e sono stati rinvenuti negli anni venti del Novecento in occasione del rifacimento della cappella del Santissimo e da allora conservati nella Biblioteca antoniana; questi frammenti di seta di colore rosso, con fili d’argento e motivi floreali appartengono ad una sepoltura femminile e probabilmente con altri studi si arriverà a stabilire chi li ha indossati, forse la stessa Giacoma da Leonessa.

La cappella del Gattamelata fu rispettata fino al 1651, quando, cambiando i gusti e le tendenze artistiche, fu scelta per accogliere il Santissimo. Nel 1651 la meravigliosa cappella quattrocentesca del Gattamelata fu scelta per ospitare l’altare del Santissimo perché26 (Zaramellla) “era una meravigliosa cappella quattrocentesca, ove la nuova arte si addestrava superando le linee e le modalità gotiche, ed era citata e additata come cappella modello”; e la scelta per ospitare il Santissimo “ne rivela la dignità e il decoro, anzi la sontuosità. Ma la struttura quattrocentesca fu sovraccaricata con la mentalità e i gusti del Seicento […] e i rimaneggiamenti finirono per deturparla così gravemente che quasi non vi si celebrava più la messa, perché troppo indecorosa”. “Disgraziatamente non ci si limitò a dare lo scialbo o, fosse pure, a picchettare gli affreschi colla martellina, ma fu addirittura tolto il vecchio intonaco e sostituito con altro nuovo. Nulla dunque si è salvato tranne quel piccolo tratta d’intonaco che rivestiva il timpano dei due sepolcri Gattamelata…ma per noi non ha nessun valore ….tanto più che non sappiamo se il Calzetta, o il nostro Jacopo o qualche loro aiuto abbia eseguito quelle pitture di carattere puramente ornamentale”(da Bollettino del Museo Civico di Padova- Jacopo da Montagnana e delle sue opere, 1928).

     Nel 1700 la cappella era malconcia, specie gli affreschi erano malridotti, e si pensò di affidarla al pennello del Tiepolo. Ma le fonti economiche della Veneranda Arca erano esaurite e i lavori furono rimandati ad altri tempi. L’occasione fu offerta nel settimo centenario della morte del Santo (1931). I lavori furono affidati a Lodovico Pogliaghi27, architetto, scultore, disegnatore, pittore, mosaicista che cominciò subito a sognare, a progettare, a disegnare e a forgiare colonnine, statue di bronzo, statue di marmo purissimo e ne uscirono angeli, vergini adoranti devotissime e rilievi, cortine bianche […] dieci anni non furono sufficienti al grande artista…comunque l’ebbe vinta e la cappella nel 1936-37 apparve al pubblico ammirato, estasiato e orgoglioso […]. Il più grande merito però del Pogliaghi è quello  di aver rispettato l’arte del 1400, e specialmente dei sarcofaghi che sono rimasti al centro di tutti i contorni artistici, senza nulla rubare al mistero Eucaristico”.

Note

1 G. Eroli: Erasmo Gattamelata da Narni, suoi monumenti e sua famiglia. Roma 1876.

2 Domenico Arcangeli nato a Pistoia nel 1962, laurea in Scienze politiche all’Università di Firenze. Per oltre vent’anni lavora come consulente finanziario per poi seguire la tabaccheria di famiglia. Nel 2020 si trasferisce in Umbria alla ricerca di nuove avventure. È articolista e scrittore di “romanzi ingialliti”.

3 B. Gonzati, La basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Padova, Ed.  A. Bianchi, 1853.

4 B. Gonzati, cit..

5V.Zaramella, Guida inedita della Basilica del Santo. Quello che del Santo non è stato scritto, Padova, Centro Studi Antoniani, 1996.

6 Donatello, Donato di Niccolò di Betto Bardi, nato a Firenze il 1386, morto a Firenze il 1466 e sepolto nella Basilica di S. Lorenzo a Firenze.

7 Zaramella, cit.

8 Oliviero Ronchi, nato a Motta di Livenza nel 1874, si trasferì dopo a Vittorio Veneto e poi a Padova dove si laureò in Lettere. Nel 1904 venne assunto nel Museo Civico di Padova e qui percorse le varie tappe della carriera diventando prima direttore della Biblioteca e poi nel 1934 vicedirettore del Museo, mori a Padova nel 1958.

9 Zaramella, cit.

10 Ibidem

11 Archivio Sartori, Documenti di storia e arte francescana, 4 volumi, a cura di G. Luisetto, Ed. Biblioteca Antoniana, 1983.

12 Pietro Calzetta, nacque forse a Padova tra il 1430 e il 1440; è stato un pittore italiano del Rinascimento; era cognato di Jacopo da Montagnana, allievo dello Squarcione; morì il 1486. Nel 1470 collaborò con Jacopo da Montagnana e Matteo dal Pozzo alla decorazione della cappella del Gattamelata nella Basilica di S. Antonio di Padova. Il Calzetta poteva dirsi “il pittore del santo” e di fatto il Gonzati scrtive “ anno non iscorreva né forse mese, che chiamasse non fosse il Calzetta o per nuovi lavori o per ristorare cadenti  pitture”.

 13 Matteo Dal Pozzo, pittore veneziano, ricevette l’incarico da parte degli esecutori testamentari del condottiero Erasmo da Narni e dei massari dell’Arca del Santo di decorare ad affresco la cappella Gattamelata nella basilica del Santo “cum figuris et historis” secondo quanto richiesto dalla vedova del condottiero (Danieli in Jacopo da Montagnana 202, pg 77 e seguito). Mori a metà settembre del 1471 e venne sostituito ufficialmente da Jacopo da Montagnana.

14 Parisati, conosciuto come Jacopo da Montagnana è nato a Montagnana tra il 1440 e il 1443 ed è morto a Padova nel 1499. Nel 1470 collaborò con Pietro Calzetta e Matteo dal Pozzo alla decorazione della cappella Gattamelata della basilica antoniana di Padova.

15 Francesco Squarcione, 1397-1468, pittore e collezionista d’arte italiano; fu maestro tra gli altri di Matteo da Pozzo, Andrea Mantegna ed altri.

16 Giovanni da Bolzano: architetto, fu Nicolò della contrada di San Nicolò in Padova.

17 Gregorio d’Allegretto: discepolo di Donatello, scultore, lavorò insieme a Giovanni da Bolzano per la sistemazione delle tombe dei Gattamelata.

18  Zaramella, cit.

19 Porcelio Pandoni, detto il Porcellio, era nato a Napoli, probabilmente prima del 1409; è stato un umanista e scrittore italiano; morto a Roma nel 1485. E’ l’autore dell’epitaffio del sarcofago del generale Gattamelata.

20 Zaramella, cit.

21 Galeotto Marzio, nato a Narni intorno al 1424; dal 1454 abitò a Montagnana dove si era insediata una colonia di Narnesi al seguito di Erasmo da Narni detto il Gattamelata. A Padova frequentò lo studio per addottorarsi in artibus e in medicina. Nel 1456 ebbe l’incarico di comporre l’epitaffio di Giovanni Antonio figlio del Gattamelata. Nel 1465 si recò in Ungheria. Nel 1477 fu accusato di eresia e processato dall’Inquisizione veneta, ma non fu condannato grazie alla sua amicizia con Lorenzo il Magnifico e il re Mattia Corvino. Sarebbe morto dopo il 1492, probabilmente a Montagnana, sua abituale residenza.

22 Jacopo Bellini , aiutato dai figli Giovanni e Gentile fece la pala dell’altare della cappella del Gattamelata che ora non esiste più. Era nato a Venezia nel 1396, morì a Venezia nel 1470. Ebbe una figlia di nome Nicolasia che andò in sposa al Mantegna.

23 V. Polidoro: Le religiose memorie, Venezia, Paolo Meietto 1590.

24 Zaramella, cit.

25 Ibidem 

26Ibidem

27Lodovico Pogliaghi: nato il 7 gennaio 1857 a Milano, muore nel sacro Monte di Varese il 30 giugno del 1950 a 93 anni nella sua monumentale villa in cui concentrò gran parte della sua collezione di opere d’arte di varie epoche; è stato scultore, pittore e scenografo italiano. Si occupò nella basilica del Santo della decorazione della cappella del Santissimo dal 1906 al 1937, anno della sua inaugurazione e successivamente fino al 1941 circa apportando modifiche e integrazioni. Riposa dal 1950 nel cimitero della comunità sacromontana a Sacro Monte di Varese accanto alla moglie morta nel 1936.

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