Con quel discorso del febbraio 1979, Khomeini operava una epocale rivoluzione in Iran, consegnando il paese alla sharia e facendo ritornare indietro le lancette del tempo ad un’epoca buia e spaventosa. Lo scià Pahlavi veniva mandato in esilio (sarebbe morto un anno dopo) e il governo passava in mano agli ayatollah. Ogni disobbedienza era punita con la morte, qualsiasi atto di ribellione severamente perseguito dalle forze armate, i pasdaran, al servizio della sharia. Con l’insediamento di Khomeini e del nuovo Presidente Bazargan (di fatto un esecutore materiale, mentre la guida suprema era del capo spirituale della nazione), fallivano i tentativi del libero governo iraniano di “occidentalizzare” il paese. Le due strade tentate negli ultimi decenni in Iran erano state quelle del nazionalismo di destra, temperato nella forma del nazional socialismo di matrice storica, o del comunismo marxista di stampo sovietico. Entrambe le strade si erano rivelate senza uscita. Reza Pahlavi aveva dato una svolta ultraliberale, capitalista, e l’Iran attraversava una fase di boom economico quando iniziarono i movimenti di protesta incoraggiati dagli ulema che con le loro prediche aizzavano i fedeli. Naturalmente io, all’epoca, non potevo certo comprendere le complesse dinamiche geopolitiche che governavano la rivoluzione iraniana (e non sono un esperto di politica estera nemmeno adesso), ma ricordo precisamente nei confronti dell’Ayatollah Khomeini, ogni volta che appariva in televisione, il senso di terrore, evidentemente instillato in me da mia madre a da mia nonna. In pratica, due donne del popolo, le guide formative della mia infanzia adolescenza, pur non disponendo degli strumenti culturali degli studiosi più attrezzati, avevano colto nel segno, indicando Ali Khomeini come la personificazione del male assoluto, quello della repressione, della paura e dell’odio, quello del fanatismo islamico. Io interiorizzai talmente la paura che ad un certo punto vedevo nel tiranno il rappresentante stesso delle potenze delle tenebre, il ministro di Satana in terra, egli mi appariva negli incubi di notte ed arrivai al punto che quando i tg trasmettevano stralci dei suoi sermoni, cambiavo canale per non dovere sostenere quel diabolico sguardo di morte. Con l’affermarsi dell’islamismo più radicale, l’Iran è diventato ben presto la potenza guida del continente mediorientale e il punto di riferimento per i vari movimenti islamici definiti proxy rispetto all’Iran, come la palestinese Hamas, gli Ezbollah libanesi e gli Outhi dello Yemen (Molto approfondito è il libro di Michael Axworthy, Iran rivoluzionario. Una storia della repubblica islamica, traduzione di Vincenzo Valentini, Leg Edizioni, 2017).
Ora, tutto il mondo è attonito di fronte alla drammatica escalation nel Vicino Oriente, una polveriera sempre pronta ad esplodere. Da una parte Israele, ufficialmente appoggiato dai paesi arabi di Egitto, Giordania e quelli interessati dagli accordi di Abramo del 2020, ovvero Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco. Inoltre, Arabia Saudita e ovviamente Stati Uniti ed Europa. Dall’altra, le principali potenze del terrore islamico mediorientale: la palestinese Hamas, gli Hezbollah del Libano, gli Houthi dello Yemen, l’Iran e poi la Siria e l’Iraq.
La situazione interpella le coscienze dell’Occidente, non solo perché un conflitto su larga scala produrrebbe ripercussioni immediate di carattere economico anche in Europa, ma soprattutto perché nel clima di guerra totale che stiamo vivendo nessuno si sentirebbe più al sicuro in qualsiasi angolo del vecchio continente. Fino ad ora, abbiamo assistito al fallimento di ogni mediazione diplomatica e ogni appello al cessate il fuoco, anche ai più alti livelli, è stato vano. Israele vuole sparare più forte ed avere l’ultima parola. “Ne resterà uno solo”, come in Highlander. Quando ci si avvia su questa china, è difficile che non si giunga agli estremi. L’Iran vuole spazzar via Israele, è la sua missione dichiarata da sempre. Israele vuole abbattere l’asse del male e, per far questo, attaccare e distruggere il paese degli ayatollah, che questo asse sorregge. Dopo che il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah è stato ucciso dagli israeliani il 27 settembre scorso, ci si doveva aspettare una reazione del genere. Ma il dissenso cresce sempre più forte intorno al regime di Teheran. Chi spinge per il conflitto armato sono gli esponenti più conservatori della Repubblica islamica, in primis i miliziani che volevano da subito vendicare gli assassinii politici di Israele di questi ultimi mesi. Il regime doveva dare una prova di forza e così ha attaccato per lanciare un forte messaggio al mondo esterno ma anche legittimare il proprio potere all’interno rispetto alle spinte opposte dei giovani che dimostrano malcontento e degli ultraconservatori.
Così, fuoco sul confine israelo-palestinese, sulla striscia di Gaza e in Cisgiordania; fuoco su Gerusalemme, Tel Aviv e le principali città ebraiche; fuoco in Libano al confine meridionale; fuoco in Yemen; fuoco adesso anche in Iran. La polveriera è esplosa. Questo autunno di morte segna il rogo della civiltà, il punto di non ritorno della barbarie umana. Islamica o ebrea, iraniana o israeliana che sia.