di Mauro Di Ruvo
Oggi noi dovremmo comprendere come questo nostro retaggio cristiano-umanistico, privo oramai di co-essenzialità reciproca, possa ulteriormente evolversi nella direzione delle nuove esigenze della civiltà, oppure se lo si debba ritenere concluso.
Questo solo un precetto che contengono le pagine finali del nuovo libro di Marzio Mori, Arte e carattere. Dalla città ideale alla strada di Delft. Viaggio nelle certezze e nelle angosce dell’uomo moderno, edito quest’anno a Perugia da Volumnia Editrice. Una pubblicazione che forse attendeva da anni il suolo perugino per ripercorrere le vie strette dell’Arte, inoltrandosi nei nascosti vicoli che portano a scoprire nuove gallerie della storia.
Aspettandosi un lungo e corposo viaggio denso di pause e riflessioni presso le numerose stazioni cronologiche, il lettore rimane meravigliato alla vista di un così snello opuscolo, (63 pagine esclusa la bibliografia), assopendosi nello sguardo della copertina raffigurante Il principe di Miaz Brothers. Chi ancora deve alzare il piatto di coperta per giungere alla lettura inedita del testo, è già attratto e raggomitolato dal tepore quasi domestico e confuso dell’assenza di contorni e di definizioni grafiche dell’acrilico dei Brothers. Anzi recupera la calma per iniziare un viaggio che si dipana nella complessità del racconto.
Mori lo anticipa nel sottotitolo, un “viaggio nelle certezze e nelle angosce dell’uomo moderno” che si avvia, dopo una breve introduzione dell’autore, da una citazione di Jürgen Habermas che slaccia il filo del gomitolo narrativo.
E il filo slacciato è proprio quello di Giotto, dalla sua concorrente rivoluzione formale per quella novità francescana morale, che attraverso un «concetto estetico e ideale estremo» è riconosciuto dall’autore come promotore di quell’armonia che sarà propria del Rinascimento tra la Natura e Dio.