In un primo momento pensò che Firenze fosse il luogo destinato al riposo definitivo. Nel 1369 aveva chiesto ai fiorentini il privilegio di poter collocare il proprio sepolcro nel Battistero di S. Giovanni, ottenendo un rifiuto, essendo la destinazione d’uso di un locale contenente un fonte battesimale canonicamente incompatibile con una funzione sepolcrale. Allora Bonifacio optò per la costruzione del proprio sepolcro nella Basilica di s. Antonio a Padova. E nella navata destra della basilica del Santo, dove oggi esiste la cappella di S. Felice, c’era una cappella più antica intitolata a s. Michele e con giuspatronato della famiglia del Sale; infatti, “per pia disposizione del 29 agosto 1293 Ita di Bartolomeo del Sale, della contrada di Ognissanti” dispose di essere seppellita nella basilica del Santo, precisamente nella cappella di s. Michele. Bonifacio scelse questa cappella in quanto molto probabilmente aveva acquisito il giuspatronato della famiglia del Sale. Sulla facciata dell’attuale cappella esiste la statua di S. Michele posta per conservare la memoria dell’antico titolo.
Nel 1372 Bonifacio Lupi, marchese di Soragna e condottiero, tornato al servizio dei signori di Padova, commissionò ad Andriolo de Santi, architetto e scultore veneziano, l’erezione della cappella in cui avrebbero riposato le sue spoglie. Andriolo eseguì un progetto ideato da Altichiero, noto pittore veronese, del secondo Trecento e che attese al complesso pittorico dal 1374 al 1379. Il contratto tra Bonifacio dei Lupi di Soragna e Andriolo de Santi fu redatto il 12 febbraio 1372 per mano del notaio Andrea Codagnelli di Parma. Si caratterizzò come un contratto molto dettagliato: riportava la scelta dei materiali, il disimpegno del maestro da altre commissioni e che “deta capella sia forte e secura a remanere in piedi e drita senza alcuno perigolo […] e se entro tre anni ci fosse qualche difetto o ogni mancamento che vi fosse, il maestro Andriolo si obliga a rifare tutto a soe spese”. Il cantiere fu aperto il 20 febbraio 1372 e proseguì fino al 1379 quando Altichiero d’Azevio ricevette il saldo del lavoro (Sartori).
La cappella fu dedicata a s. Giacomo Maggiore, apostolo perché strenuo difensore della cristianità contro gli infedeli, e quindi protettore dei cavalieri; o perché anticamente esisteva una confraternita dell’ordine della milizia di S. Giacomo, molto potente e forte in Spagna, e non si esclude che Bonifacio facesse parte di questa confraternita; oppure per ribadire l’ origine cristiana della sua stirpe, individuando nella sua antenata regina Lupa, capostipite del suo ramo dei Lupi di Soragna, che si convertì al cristianesimo dopo aver visto i miracoli di S. Giacomo e fu fondatrice del santuario a Lui dedicato in Galizia
Bonifacio, che non aveva avuto figli né dal primo né dal secondo matrimonio, nel 1388 all’età di 70 anni scrisse il suo testamento con il quale garantiva lasciti alla moglie Caterina e nominò suo erede il nipote Ugolotto Biancardi, figlio di sua sorella Caterina, che aveva sposato Antonio Biancardi di Firenze. Caterina era sorella di secondo letto di suo padre che appunto in seconde nozze aveva sposato Donella da Carrara.
Ma, nel 1388 Padova era in guerra contro Venezia appoggiata dai Visconti. Francesco il Vecchio Da Carrara abdicò in favore del figlio Francesco Novello ed entrambi abbandonarono la città. Bonifacio fu nominato Capitano del popolo e divenne esponente della corrente filoviscontea. Poi Francesco Novello, alleatosi con i veneziani che temevano l’espansione dei Visconti, riuscì a riprendersi Padova nel 1390. Bonifacio allora fu costretto all’esilio e andò a Venezia dove morì il 23 marzo 1391 e venne sepolto nella sua amata cappella di s. Giacomo, al Santo.
E Polidoro scrive che nella cappella di S. Giacomo esistono due sarcofagi pensili, sorretti l’uno da leoni accovacciati, l’altro da lupi accovacciati, su mensole scolpite, che sono inseriti sotto archi a sesto acuto. Simmetrici i due sarcofagi. La tomba più a est (quindi a sinistra di chi entra) accolse i resti del nonno De Rossi e degli zii del fondatore Bonifacio Lupi appartenenti alla famiglia De Rossi, mentre quello più a ovest (a destra di chi entra) fu utilizzato per Bonifacio stesso.
Caterina De Franceschi morì il 20 giugno 1405, lasciando scritto nel suo testamento di essere sepolta nella cappella gentilizia del Santo, sotto la tomba del marito e, se questo non fosse stato possibile, chiedeva di essere sepolta nella chiesa dei Frari a Venezia, dove si era rifugiata insieme al marito dopo la riconquista di Padova da parte di Francesco Novello e dove insieme al marito aveva acquistato delle case nel 1387.
Il Gonzati scrive che nella cappella di S. Giacomo c’è l’affresco votivo di dedica: in primo piano S. Caterina e S. Giacomo presentano a Maria, seduta su un trono preziosissimo ed elaboratissimo, Caterina De Franceschi e Bonifacio Lupi, inginocchiati con le mani congiunte in preghiera. Altichiero l’aveva ritratta dal vivo 28 anni prima della morte (cioè nel 1377) e con 28 anni di meno. (Zaramella)
Intanto nel 1503 furono trasferite a Padova le spoglie di “s. Felice II (? -365), papa e martire, il quale da Costanzo Eretico Ariano, figlio di Costantino, prima fu discacciato dalla Santa Sede e poi decapitato il giorno 22 di novembre, però fu sepolto prima sulla via Aurelia in una chiesa che poi fu anche distrutta e il corpo fu rissepolto a Ceri (Cerveteri) e da qui a Padova nella cappella di S. Giacomo che da quel giorno cominciò a chiamarsi di s. Felice” (Polidoro).
Caterina, come voleva, fu sepolta nella cappella di s. Giacomo, a destra, sotto il sarcofago del marito. Ma nel 1777 i provveditori alla Sanità permisero alla Veneranda Arca del Santo di poter trasferire la lapide tombale di Caterina De Franceschi e a tal proposito Sartori scrive: “Noi Provveditori alla Sanità […] ritrovandosi nella cappella di s. Felice […] un antico sepolcro che fu di ragione de’ sigg. Lupati, ora estinti che rende ineguale quel pavimento a motivo di una lapide in cui rilevasi una statua d’essa famiglia e rendendosi necessario di levare il sigillo colla statua stessa per renderlo più decente e decoroso, che perciò ricercati concediamo licenza a Domenico Cioto di poter levare dal surriferito sepolcro essa lapide per riporvi li quadri sufficienti e rendere quel pavimento equale e pareggiato”.
E Bigoni nel 1816 scrive: ”In questa cappella esisteva un tempo sopra sepolcral pietra sul pavimento una figura a quasi intero rilievo rappresentante Caterina De Francesci, moglie di Bonifacio de’ Lupi e che secondo grave incomodo a chi interveniva nella cappella istessa, fu trasportata nel chiostro primo del convento. Sulla lapide si legge Lapis sepulcralis in capella Luporum olim humi […] amotus 1773” (in realtà, come scrive il Sartori, è nel 1777, anno in cui il monumento venne rimosso).
E Zaramella scrive: “Le fu eretto un monumento che il Gonzati dà tra gli smarriti o accantonati. Dice di aver vista la statua di Caterina De Franceschi in un ripostiglio del chiostro del Noviziato, forse in attesa di una destinazione definitiva: la statua dell’egregia donna, qual fu levata da sopra la sua tomba, giace negletta in un oscuro ripostiglio presso l’andito del chiostro del Noviziato”. E continua: “Ora e non posso dire da quanto, è stata eretta e inchiodata, perché non cada, addossata alla parete sinistra dell’andito che dalla basilica porta al Chiostro della Magnolia. E’ in ottimo stato di conservazione; deduco che il monumento fosse eretto anche nella cappella de’ Lupi, oltretutto perché la figura è in forte altorilievo, e non poteva stare a livello del pavimento. Le manca solo un piede o una scarpa, e ha il naso leggermente levigato. E conclude dicendo “può darsi che dove è ora, inchiodato alla parete, sia più in vista di quanto lo sarebbe stato nella cappella dei Lupi, ma ciò che non sopporto e che sia stato estromesso dalla cappella del marchese di Soragna; doveva rimanere nella cappella di s. Giacomo, come sposa di Bonifacio Lupi di Soragna , perché la cappella a buon diritto era anche la sua”.
“Hac de Franciscis tegitur Catherina sub urna cui natale solum Statia tusca dedit. Prudens iusta fuit, morum gravitate venusta norma pudicitiae splendida cella boni. Stenuus insignis coniux Bonifacius Illi marchio Soraneae stirpe satusque lupa. M CCCC V die XX Iunii”.
“Caterina Dei Franceschi, cui diede i natali la regione toscana, giace, coperta da questa urna. Fu prudente, giusta, onorata per gravità di costumi, norma di pudicizia, splendida stanza del bene, ebbe per marito il marchese di Soragna, nato dalla stirpe dei Lupi. Correva l’anno 1405, 20 di giugno”, quando morì.
Baldissin Molli scrive: “Tra le donne della Basilica, sembra essere la figura di maggior spicco, per autonomia, azione, decisione e ciò par trovar riscontro nella sua lastra funeraria, ben rilevata, definita, di materiali ricercati, accompagnata da una iscrizione celebrativa che la commemora con una sfilza di aggettivi (prudens iuxta fuit, morum gravitate venusta) che riconsegnano l’idea di una donna altolocata, di rango, capace di autoconsapevolezza e di azione”.
E ancora scrive: “Conosciamo poco della sua vita. Continuò a donare tessuti di rango alla Basilica del Santo, paramenti sacri color paonazzo, recanti le insegne familiari e un importante paliotto in tessuto per l’altar maggiore. Caterina aveva anche chiesto di essere seppellita con la veste del terz’ordine francescano che doveva essere ‘un abbigliamento castigato nel colore e nella forma’. Nel rilievo la donna è avviluppata in metrature di tessuto abbondanti, di taglio semplice, la veste è stretta sotto il seno dalla cintura e i polsi mostrano una qualche ricercatezza. Non si vede il doppio sistema composta da veste e sopravveste; il viso serrato tra il velo e soggolo, composto in una fissità senza tempo, di rigore e sommessità, mitigata dalla qualità dei materiali peraltro non paragonabili al dispendio cromatico, dorato […] della cappella familiare”. E continua nel dire che la donna era parzialmente mitigata se si considera il fatto che era stata lei a chiedere di essere seppellita sotto la tomba del marito “tra marmi preziosi e antichi, con le insegne familiari, arricchito di dorature e inserito con perfetta coerenza con gli affreschi”. Una radicale diversità tra le due sepolture conclude la Baldissini Molli. Ma questo poteva essere legato al ruolo della donna, in quei tempi in contrasto a quello del marito? Chissà come sarebbe potuta essere la sua tomba nel caso in cui fosse morta prima del marito definito da Matteo Villani (1283-1363), come riporta C. Guarnieri “uomo […], di poche parole, taciturno e introverso, di grande generosità d’animo e di educazione francescana”. E ne è testimonianza il fatto che costruì a Firenze l’ospedale di S. Giovanni Battista, a cui anche la moglie, alla morte, lasciò i suoi beni.
Bibliografia
G. Baldissin Molli, Devote e colte: le sepolture trecentesche femminili della Basilica di Sant’Antonio di Padova. 2023;
A. Bigoni, Il forestiero istruito delle meraviglie e delle cose più belle che si ammirano internamente ed esternamente nella Basilica del Gran taumaturgo S. Antonio di Padova, Stamperia del Seminario, Padova, 1816;
B. Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova, descritta ed illustrata, Padova, ed. A. Bianchi, 1853;
C. Guarnieri, La cappella di S. Giacomo, in “La pontificia basilica di sant’Antnio in Padova, Archeologia, storia, arte e musica”, a cura di L. Bertazzo e G. Zampieri, L’Erme di Bretschneider, Roma 2021;
V. Polidoro, Le religiose memorie scritte da padre Valerio Polidoro padovano conventuale di S. Francesco, dottore della Sacra Teologia, nelle quali si tratta della chiesa del glorioso s. Antonio confessore di Padova, Venezia, Ed. P. Meietto, 1590;
A. Sartori; Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, Vol. I-IV a cura di Giovanni Luisetto, Padova, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, 1983-1989;
www. enciclopedia Treccani;
V. Zaramella; Guida inedita della Basilica del Santo. Quello che della Basilica non è stato scritto. Padova, Centro Studi Antoniani, 1996.