Lo stato dell’arte 1. Perché ci piace così tanto Caravaggio

In un’epoca in cui l’astratto dovrebbe essere, insieme al concettuale e a tutte le forme “informi” dell’espressione artistica recente, l’arte che meglio ci rappresenta, il pubblico e la critica continuano a essere attratti da un artista nato nel 1571 e morto nel 1610. Un pittore controverso, che in meno di vent’anni, diciamo dal Bacchino malato (1593 ca.) al Martirio di Sant’Orsola (1610) – entrambi saranno esposti alla mostra romana –, seppe cambiare il modo di dipingere in Europa, realizzando un cambiamento epocale. Caravaggio, un artista, per il suo tempo, per qualche verso concettuale: che muoveva proprio dall’idea rivoluzionaria e allo stesso tempo assoluta della sorgente luminosa scenica; dall’uso di persone comuni prese dalla strada a fare da modelli, umanizzando oltre l’inverosimile i volti ascetici e le storie miracolose di Santi e Madonne.


I bari (1594) olio su tela – Forth Worth – Kimbell Art Museum.

Caravaggio irrompe sulla scena artistica romana, quella abituata all’altro Michelangelo e a Raffaello, a tutta la schiera di pittori manieristi rinascimentali, proponendo un nuovo modello di pittura, di narrazione degli episodi del Nuovo e del Vecchio Testamento, come mai prima di lui: Lorenzo Lotto a parte, sia ben chiaro, che già preannunciò in alcune occasioni l’anzidetta rivoluzione in nuce. Caravaggio però cambia il paradigma del dipingere, modifica il gusto e il concetto di bello dei suoi contemporanei, riesce a farlo accettare e a commercializzarlo, cosa che al devoto e decisamente meno trasgressivo Lotto non riuscì affatto. Ma cosa c’entriamo noi con Caravaggio?

La questione è ottocentesca. Nel XIX secolo in arte erano stati raggiunti livelli molto alti, poi, in un lento declino della manualità e dell’ispirazione, con la “macchia” che nel secolo successivo pian piano divenne lo schizzo di colore “drippato” di Pollock (1912-1956), fino a trasformarsi nelle larghe campiture di Mark Rothko (1903-1970) o nelle monocromie a tutta tela di Ettore Spalletti (1940-2019), il concetto prese il posto del soggetto. In altri termini si è passati dalla Canestra di frutta di Michelangelo Merisi ai cicli degli «Oltre» e dei «Non dove» di Emilio Vedova (1919-2006). L’opera d’arte, il pensiero artistico costruttore, ha ceduto il posto al pensiero elucubrante, distruttore della forma-sostanza e apripista della tanto temuta crisi dell’autorialità.

Ecco riemergere nei primi decenni del Novecento – tra le rivoluzioni avanguardistiche in atto – l’estetica caravaggesca, che, grazie a Roberto Longhi (1890-1970), nonostante l’onda d’urto delle biennali veneziane del contemporaneo, tutt’oggi incalzanti, è ancora apprezzata tanto da noi comuni visitatori, affamati di bellezza, quanto dalla critica dell’arte mondiale. Caravaggio ci piace perché è incomprensibilmente attuale, ha umanizzato, portandoli per strada e nei vicoli bui, coloro che furono eletti a occupare le sfere celesti: le sue opere sono cariche di forza estetica ed espressiva, riuscendo a dialogare con noi come seppero fare con la gente del suo tempo, nonostante gli oltre quattro secoli ormai trascorsi.


Bacchino malato (1593-1594), olio su tela – Roma – Galleria Borghese.
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