Quindi la storia dev’essere insegnata da tutti coloro che hanno conoscenza di qualcosa che riguardi gli uomini, e non c’è chi non ne abbia. Dev’essere insegnata in ogni luogo perché non c’è luogo in cui non possa essere insegnata. Un insegnamento continuo, trasversale, diffuso, organico ma anche disorganico, spontaneo. La storia dev’essere insegnata a scuola, certo, in modo intenzionale e sistematico. Ma non basta. Anche un giornale deve insegnare la storia, anche un poeta, un narratore, un politico, un economista, un pittore, un sacerdote, un marinaio, un aviatore. Devono insegnare la storia tutti quelli che non cito perché l’elenco sarebbe infinito. Ciascuno a suo modo. Lo si potrebbe anche considerare un dovere. La società deve insegnare la storia e far comprendere quali sono le cause e quali sono gli effetti di ogni fatto, di ogni fenomeno, ogni cosa, quale terreno, quale radice, quale tronco, quale coltivazione e quale sogno hanno portato a maturazione il frutto che si sta assaporando.
Allora probabilmente sbagliavo quando ho detto, qualche riga sopra, che la storia è la disciplina più difficile da insegnare. In fondo, metodologicamente, è la più semplice. Basta soltanto dirsi: ecco, noi siamo qui, ora, così. Vediamo di capire chi siamo noi, perché siamo qui e perché il qui è nel modo in cui lo vediamo, perché siamo così come siamo, perché ora è diverso da allora e perché chi c’è ora è diverso da chi c’era allora, che cosa ha provocato il cambiamento di noi, del qui, del così.
Ecco, il metodo è semplice davvero.
Poi comincia il groviglio delle risposte, delle ipotesi, delle analisi, delle comparazioni, dei distinguo, delle interpretazioni. Ma il bello dell’insegnamento e dell’apprendimento della storia sta proprio nel tentativo di sgrovigliare il groviglio.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Giovedì 3 aprile 2025]