Il reportage sulla Spagna nacque a partire dal 1 febbraio 1872 come corrispondente de “La Nazione”, forse anche per la circostanza che vide il secondogenito di Vittorio Emanuele II, il principe Amedeo di Savoia, assumere per breve tempo la corona di Spagna, dopo la cacciata dei Borboni. De Amicis percorse la Spagna dal confine francese fino a Valenza, lasciandoci una serie di interessanti corrispondenze. Partito da Torino “con viso accigliato e melanconico”, De Amicis si trovò presto, già dall’arrivo a Barcellona, dopo la traversata notturna dei Pirenei, nella disposizione di un viaggiatore curioso e disposto, come sottolinea il congedo da quel Paese nella corrispondenza inviata da Granata, a percepire la bellezza di tante stupende città e anche di tante belle donne, un viaggiatore che mostrava un’apertura d’animo capace di fargli percepire in modo cordiale e sereno quel molto di buono che la Spagna poteva offrirgli, senza chiusure asfitticamente nazionalistiche. C’era evidente curiosità in Italia e il giornale fiorentino ne approfittò per inviare Edmondo De Amicis a rendere conto delle mosse politiche del giovane principe, invero non troppo felici, dal momento che il principe sabaudo, col nome di re Amedeo I di Spagna, si trovò a tentare di governare in un periodo di grande instabilità politica, segnato dal conflitto indipendentista di Cuba e da una rivolta carlista, circostanze che lo costrinsero ad abdicare nel febbraio 1873 portando alla Dichiarazione della prima Repubblica spagnola. De Amicis riuscì a cogliere soprattutto alcuni aspetti importanti del carattere e dei costumi della Spagna, soffermandosi, faccio solo due prelievi, sul Museo del Prado e sulle corse dei tori, uno degli eventi più sentiti e seguiti per la presenza anche di famosi “matadores” come Frascuelo, Cuco e Calderon, allora molto in voga. Al Museo del Prado cito soltanto la passione totale con cui ammira e analizza i quadri di Francisco Goya, soprattutto Los fusiliamientos e El dos de mayo de 1808 en Madrid (nota anche come La carga de los Mamelucos en la Puerta del Sol): “…dipingeva un quadro come avrebbe combattuto una lotta, disegnatore arditissimo, colorista originale e possente creatore di una pittura inimitabile di ombre paurose, di luci arcane, di sembianze stravolte e pur vere, grande maestro nell’espressione di tutti gli affetti terribili, dell’ira, dell’odio, della disperazione, della rabbia sanguinaria”. Una descrizione potente che dalla pittura vira verso aspetti decisivi del modo di essere spagnolo. A proposito della corrida, De Amicis non risparmia momenti di alta tensione espressiva nella raffigurazione della lotta finale del toro contro il “matador”, ma riserva pagine bellissime non solo all’abilità de torero nel momento finale dello scontro mortale col toro, ma anche all’agonia del toro, definendola “tremenda”: “Qualche volta il torero non aggiusta il colpo a dovere e la spada penetra bensì fino all’elsa, ma fuori della via del cuore. Allora il toro si mette a correre l’arena colla spada confitta nelle carni, irrigando il terreno di sangue, mandando altissimi muggiti, divincolandosi e scontorcendosi in mille modi per liberarsi da quella tortura, e in quell’impetuosa corsa, qualche volta, la spada salta via; qualche volta si configge più addentro e gli cagiona la morte…Qualche volta il toro cade a terra, ma non muore e resta immobile, colla testa alta, minaccioso, come per dire- Venite, assassini, se vi basta l’animo!-Allora la lotta è finita, bisogna accorciare l’agonia; un uomo misterioso scavalca la barriera, si avvicina a passi furtivi si avvicina a passi furtivi, si apposta dietro il toro…e gli vibra un colpo di pugnale nella testa…spesso neanche questo colpo riesce; l’uomo misterioso deve vibrarne due, tre, persino quattro; allora l’indignazione del popolo si scatena come una tempesta, gli danno del boia, del codardo, dell’infame, gli augurano la morte, se lo avessero nelle mani lo strozzerebbero come un cane”. Colorismo drammatico, come dicevo prima, intensa e coinvolgente partecipazione emotiva, tuttavia, De Amicis ci regala anche pagine più lievi e divertite, quando discorre della piazza della Puerta del Sol, degna per bellezza della sua fama, ma anche, per la gente e per la vita che vi si addensa “ a tutte le ore del giorno…un salone, un passeggio, un teatro, una piazza d’armi, un mercato…là si traffica, si discorre di politica, si fa all’amore, si passeggia, si leggono i giornali, si dà la caccia ai debitori, si cercan gli amici…si tesse la cronaca scandalosa della città”.” Siviglia, poi, definita da Edmondo De Amicis “la regina dell’Andalusia, l’Atene spagnuola, la madre del Murillo, la città dei poeti e degli amori”, gli regala “un sentimento dolcissimo di amorosa malinconia, e nella mente mille fantasie e desiderii e visioni d’un mondo lontano, d’una vita nuova, d’una gente ignota, d’un paradiso terrestre”. E così il viaggiatore si dispone a godere “il meraviglioso spettacolo di Siviglia notturna:”… i patios di tutte le case erano illuminati; quei delle case modeste, rischiarati da una mezza luce che ne abbelliva d’un’aria di mistero la grazia; quei dei palazzi, pieni di fiammelle che facevan sfolgorare gli specchi e scintillare come getti d’argento vivo gli zampilli delle fontane e luccicare di mille colori i marmi dei vestiboli, i musaici delle pareti…i cristalli dei doppieri. Si vedeva dentro un formicaio di signore, si sentiva per tutto un suon di risa, di voci, di musiche; pareva di passare in mezzo a tante sale da ballo…Siviglia non era più che un immenso giardino nel quale folleggiava un popolo fremente di giovinezza e d’amore”. Come vedremo dall’ultimo prelievo, Edmondo De Amicis non può certo trascurare le tante cattedrali magnifiche e imponenti della Spagna cristiana, ma non può neppure perdersi, a Granada, la visione del Castello Rosso, l’Alhambra, meraviglia purtroppo quasi nascosta “da un gruppo di catapecchie con qualche colonna mozza e qualche iscrizione affumicata” e poi splendidamente visibile al di là di quell’informe barriera nel suo “fascino misterioso e profondo a cui nessuno può isfuggire e che nessuno sa esprimere”. Ed ecco, sulla soglia della porta della torre di Comares, risvegliarsi invece la prosa coinvolgente del viaggiatore incantato dallo spettacolo della sala della barca ( chiamata così contratta, in lingua araba significa invece benedizione) che ha di fronte: “Questa sala non sembra più opera umana; è tutta un prodigioso intreccio di ricami in forma di ghirlande, di rosoni, di rami, di foglie che copron volta, archi, pareti, da ogni parte e in ogni senso, fitti, attorcigliati, reticolati, sovrapposti gli uni agli altri e pure meravigliosamente distinti fra loro e combinati in maniera che si presentano allo sguardo tutti insieme e tutt’a un tratto ed offrono un aspetto di magnificenza che sbalordisce e di grazia che incanta…quest’architettura non esprime la potenza, la gloria, la grandezza; esprime l’amore e la voluttà; l’amore coi suoi misteri e i suoi capricci, colle sue effervescenze, coi suoi slanci di gratitudine verso Dio; la voluttà colle sue malinconie e i suoi silenzi”. Certo riconosciamo la prosa del secondo ottocento, ma anche una naturalezza da parlato, anche se, a volte, quel parlato cede alle lusinghe del declamato (come scrive Antonio Baldini), insomma un gran bel pezzo di abilità descrittiva, seducente e capace di accendere fantasie avventurose nei suoi lettori, magari piccolo-borghesi italiani o anche memori di tanta prosa francese legata al Flaubert di Salambò o a Pierre Loti (si chiamava in realtà Louis Marie Julien Viaud), viaggiatore instancabile, icona di successo per romanzi intrisi di esotismo ed erotismo. E qui, per ora, mettiamo un punto.
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