
E in Arazzi del terzo millennio si legge “Madonna del Pilastro-I fedeli si sentono rassicurati dall’amore celeste di quegli occhi che ovunque si posizionano ad ammirarla, ti osservano sempre dritti negli occhi. Sebbene ridipinta più volte nei secoli da vari e valenti artisti, rimane immutato, anzi arricchito il messaggio di amore e serenità, ma anche di rassicurante soggezione, che trasmette ai fedeli. E’ l’immagine più amata della Basilica perfino più antica della stupenda Madonna Mora. Ricchissimo di fiori, luci e cuoricini argentati che testimoniano le grazie ricevute per sua intercessione”.
Padovainfoto scrive “La Madonna del pilastro: occhi che ti inseguono ovunque ti sposti….La troviamo addossata al primo pilastro sinistro e per questo motivo è conservata con tale nome. Un tripudio di luci, colori, cuoricini, tenero quell’abbraccio del Bimbo che con il braccio destro le cinge il collo, quasi per sentirsi umanamente protetto e il suo sguardo è quello di una madre rassicurante e benevola. Fu chiamata dell’Immacolata e degli Orbi”.
Padre Placido Cortese nella sua pubblicazione dal titolo “Nella Basilica del Santo” della fine del 1943, quando come direttore del Messaggero di sant’Antonio, si congeda dai suoi lettori e dai devoti del Santo, ricorda il sorriso della Madonna degli Orbi e che, dall’altare del primo pilastro a sinistra, guarda con la dolcezza dei suoi grandi occhi i fedeli che da ogni pate del mondo entrano nella Basilica del Santo.
Valerio Polidoro scrive: “Chi entra per la porta principale nella chiesa del Santo, vede à mano sinistra, l’altare consacrato alla Vergine Madre, detto della Madonna del Pilastro, perché è appoggiato ad un pilastro della Chiesa, al quale à grande figura, è dipinta la Vergine col figlio suo bambino nelle braccia, da Stefano da Ferrara, pittore nei suoi tempi di preggio. Questa venerabile figura ed altare s’ebbe da Padovani popoli, e altri riputatissimi personaggi, in grandissima riverenza; però nell’anno 1498, il religiosissimo Antonio Trombetta, reverendissimo arcivescovo di Atene e di Urbino, che fu dell’Ordine Minore, rifabbricò l’altare e ornò la figura con pietre intagliate, figure di marmo, pitture bellissime e fregi d’oro”.

E padre Antonio Trombetta, come scrive Sartori, “era devotissimo della Madonna Immacolata”. E ancora Sartori scrive: “probabilmente la designazione dell’altare del Pilastro come quello della Madonna dell’Immacolata proviene dalla sua azione”.
Padre Valerio Polidoro continua dicendo che dopo il culto del Trombetta “l’altare fu abbracciato […] da Giocopino Malafossa da Barge del Piemonte, del medesimo ordine, huomo dottissimo, che nel pubblico studio di Padova lesse con grandissima sua reputazione anni 45 e nel morir d’intorno all’anno di sua vita 82, lasciò al mondo per testimonianze della dottrina sua dichiarazioni nelli quattro libri di Scoto sopra le sentenze, e questioni sopra la Metafisica di Aristotile, oltre l’orazione scritta ai sacri Padri nel general Concilio di Trento; siccome, per segno di religion cristiana, congregò sotto la invocazione della concezione della Vergine Madre, à quest’altare, una confraternita che hoggidì va pure perseverando […] Confraternita che poi il 3 febbrario 1583 per opera di papa Gregorio XIII si incorporò con l’Arciconfraternita della Immacolata Concezione fondata in Roma nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso”. Ma Sartori dice che “bisogna ammettere che il p. m. Giacomo Malafossa nella prima metà del secolo XVI abbia solo riorganizzato la confraternita dell’Immacolata: essa infatti esisteva già nel 1412”.
Polidoro scrive: “ultimamente nella protezione dell’altare è entrato Matteo Cumani cavaliere, nobile padovano, l’anno 1586, il quale togliendo gli antichi ornamenti da l’altare, e Figura, oltre le due colonne di marmo di grà prezzo, ha migliorato tutto il rimanente nel bello, e buono, senza comparazione alcuna, secondo lo stato, nel quale al presente si vede risplendere il sacrosanto luogo. E nei sottopiedi dell’altare si legge “Matteus Cumanus Dignissimus multis in vita quam laudabiliter, ac sua urbis amplissimis honoribus perfunctus, hoc sibi ac suis monumentum extruendum curavit, obiit anno a Christi natalibus 1586 Pridie Kl apr”.
Angelo Bigoni scrive nel Forestier istruito: ‘Entrando dalla porta principale, e volgendosi a manca primo offresi al guardo l’altare della Beata Vergine detta dei ciechi ed anche del Pilastro opera di Stefano da Ferrara: rappresenta in mezzo grande figura la Vergine Santissima con il bambino in braccio: ai lati si veggono le immagini di S. Giovanni Evangelista e di s. Giovanni Battista, ma di mano diversa. In questo altare fu eretta la confraternita dell’Immacolata Concezione. L’altare è di bellissimi marmi, ed ha due colonne di ordine corintio, con bellissimi frontespizi. Fu sempre in moltisima venerazione questa immagine, e n’ebbero sempre grandissima cura i Religiosi del Convento”.
Ma quando fu eretto l’altare della Madonna del Pilastro? L’affresco è del 1350 circa. A tal proposito Sartori scrive: “Il 25 gennaio 1413 Folcatino Buzzacarini nel suo testamento ordina di essere sepolto presso la Madonna del pilastro ove vuole che sia eretto un altare sul quale si celebri ogni giorno in suffragio dell’anima sua”. L’immagine della Madonna del Pilastro dunque non è del secolo XV ma del secolo precedente. L’altare viene rinnovato nel 1472 ad opera di Giovanni Minello. Il 5 luglio 1516 i Padri del Santo concedono l’altare della Madonna del Pilastro al vescovo di Urbino, arcivescovo di Atene P.M. Antonio Trombetta. Ed infine fu ristrutturato nelle forme attuali per commissione della famiglia Cumani, patrona dell’altare. La pala dell’altare è opera di Stefano da Ferrara e rappresenta la Madonna con Gesù bambino; furono successivamente aggiunti s. Giovanni Evangelista e s. Giovanni Battista, opera di un artista della cerchia di Altichiero da Zevio e infine nel Cinquecento gli angioletti, lavoro di Anonimo. L’altare è completato dal bassorilievo dell’Immacolata, lavoro di un artista della cerchia di Giovanni Bonazza. L’affresco è un’ autentica meraviglia: lo sguardo della Madonna e del Bambino che accoglie amorevolmente il pellegrino.
Ma chi è la Vergine del Pilastro? Nostra Signora del Pilar (in spagnolo Virgen del Pilar o Nuestra senora del Pilar) è un titolo con cui viene venerata Maria, la madre di Gesù in Spagna. È intitolato a Nostra Signora del Pilar l’omonimo Santuario di Saragozza ed è considerata la patrona dei popoli ispanici ed è festeggiata il 12 ottobre.
Sartori nel descrivere l’altare della Madonna del Pilastro riporta: “Il 26 giugno 1555 Matteo Cumani benefattore del convento chiede ad ‘ei assegnare, dare et concedere de gratia speciali altare seu capellam Beate Virginis a pilastro cum ipse Dominus Matheus intendat illud ad honorem beate Virginis ad modum illius sancti Bernardini, et deleri insigna existentia Domini Antonij Treombetta”. Quindi Matteo Cumani chiede ai Frati che gli venga concesso l’altare della Madonna del Pilastro e che lo avrebbe restaurato allo stesso modo di quello di san Bernardino che si trova sul pilastro opposto, nella navata destra della Basilica. Inoltre, Cumani chiede di poter togliere le insegne di Antonio Trombetta.
Il 25 marzo 1585 nel testamento di Matteo Cumani si legge, come riporta Sartori: “Ordino et commando che sia fatta una pala onorata all’altare della Madonna del Pilastro con le armi cumane dalle bande in luoghi proportionati, et nel pavimento di esso altar sia fatta una sepoltura per li deffondi di casa nostra di Cumani con il coperto ad essa sepoltura di pietra che sia honorata con l’arma cumana et intitulazione come parerà a magnifici miei commissari et siano spesi in detta palla et sepoltura fin alla somma di ducati quattrocento delli denari che mi attrovo sopra il sacro Monte di Petà di Padova”. La supplica dei Cumani viene inviata al Consiglio cittadino il 4 settembre 1585 recitante come scrive Sartori “ritrovandosi noi fratelli Cuumani haver un altare nella chiesa del glorioso s. Antonio nel loco dove si dice la Madonna del Pilastro appresso la porta verso ponente e vivendo con animo di farli un ornamento degno e convenevole a quella così devotissima immagine. Per effettuar adonque questo magiormente desiderio supplichiamo in gratia tutte le sue Magnificientie che se degnino conceder questo pilastro offerendisi non li far cosa che in alcun tempo o possi inferir danno al ditto sacro tempio”.
La supplica, letta il 23 ottobre 1585, viene approvata in data 11 gennaio 1586. Matteo Cumani muore alle kalende di aprile 1586. E Sartori scrive: “Nel 1587 nel Santo fu fatto l’altare della Madonna del pilastro dalli Cumani attribuito a Evangelista Abriano”. E ancora il Sartori: “L’8 gennaio 1587 Eufemia Moro, vedova di Matteo Cumani, fa il suo testamento con cui ordina ‘el corpo mio volgio sia sepulto ala giesia del glorioso s. Antonio di Padoa nell’archa dove serà el mio dileto consorte […] li miei carissimi cugnati (Egidio e Claudio Cumani) abia a divider tra loro […] ogni altra roba […] eccetuando quelli 4 candelieri d’arzento che à lasato el q.mio dileto consorte alla gòloriosa Madona del Pilastro nella giesia del glorioso s. Antonio di Padoa […] et mesi su l’altaro dela Madona al tempo delle sue feste”.
Sartori riporta in data 20 agosto 1710 che: “I padri da molto tempo non permettono più alla famiglia Cumani di seppellire i suoi morti nella sepoltura che era nella chiesa […] all’altare della Madonna detta degli Orbi per essere questa nella pradella di detto altare sotto li piedi del sacerdote che celebra al detto altare, asserendo essere stato prohibito dalla Santa Sede”. I Cumani presentano ora una supplica al Consiglio cittadino di poter fare una sepoltura ossia una tomba davanti, ai piedi dello stesso altare, dalla parte del vangelo: la supplica viene accolta il 10 marzo 1711.
Sartori riporta che il 24 novembre 1719 “i padri deliberano di porre un bel christallo all’immagine dell’Immacolata Concezione per decro e abbelimento di quell’altare tanto coltivato da’devoti”.
Infine, nel 1754, in occasione del restauro della Basilica dopo l’incendio del 1749, in ottemperanza alle disposizioni della S.C. dei Riti fatte osservare dal Cardinale Rezzonico, vescovo di Padova, viene levato dalla pradella dell’altare il sepolcro della famiglia Cumani e trasportato ai piedi dell’altare stesso, con l’assenzo della detta famiglia.
Nel mese di luglio 1782 dal sig. Francesco Zannoni, pittore padovano, fu restaurata la devota immagine della Madonna del Pilastro.
L’ultimo restauro risale al 2012 e, a tal proposito, il Mattino di Padova del 12 giugno 2012 pubblicava un articolo di Aldo Comello dal titolo “La Madonna del Pilastro torna per ricevere i fedeli” e scriveva: “Ultimato il restauro dell’affresco posto a pochi metri dall’ingresso della Basilica, frutto di grande venerazione. Il suo sguardo segue i fedeli. Secondo lo storico dell’arte Ragghianti, fu dipinto da Stefano da Ferrara nel 1350, lo stile è gotico […], un capolavoro! Ma è impressionante il lato devozionale: e durante i lavori questa Maria con il Bambino, resa invisibile dal cantiere di restauro, continuava a calamitare gli sguardi dei fedeli alla ricerca dell’immagine. È detta anche Madonna degli Orbi perché sotto il suo altare si accoglievano i ciechi che poi venivano accompagnati nel giro della Basilica (esisteva a Padova dalla metà del Trecento una confraternita dei ciechi che aveva come patrona la Vergne Immacolata). Il suo sguardo comunica l’espressione dell’accoglienza per chi arriva e del commiato per chi si allontana: da qualsiasi parte la si guardi, i suoi occhi sembrano seguirti in ogni spostamento. Forse questa caratteristica, come ad alcune icone bizantine, ha innescato una straordinaria, caldissima, venerazione. Il restauro complessivo è durato 4 mesi e il lavoro è stato fatto dalla restauratrice Maristella Volpin; il restauro dell’affresco non è stato facile, perché l’opera è prodotta da più mani con tecniche diverse e in epoche differenti: cinquecenteschi sono i due Giovanni ai lati di Maria, l’Evangelista e il Battista. Il restauro ha rinnovato i colori degli abiti. E padre Trombetta realizzò iniziative per arricchire il dipinto per cui la Madonna trecentesca indossa abiti cinquecenteschi: uno scialle trapunto di stelle avvolge la figura di Maria e anche il bambino indossa vesti preziose”.
E a proposito dell’ultimo restauro “Il Corriere del veneto”, in data 11 giugno 2012, riportava: “La Madonna del Pilastro. Si è concluso il restauro dell’altare della Madonna del Pilastro, dell’Immacolata, degli Orbi, posto nella navata sinistra della Basilica di Sant’Antonio. L’importo totale è stato di euro 30.000, e la spesa è stata sostenuta per quanto all’altare dalla Veneranda arca di Sant’Antonio, mentre la spesa dell’affresco è stata sostenuta dalla Pia associazione Macellai Militi dell’Immacolata. Una meraviglia: lo sguardo della Madonna e del Bambino accoglie amorevolmente il pellegrino”.
Padre Valerio Zaramella, a proposito del Padre Antonio Trombetta e del suo mausoleo nella Basilica del Santo di fronte alla Madonna del Pilastro, scrive: “Padre Antonio Trombetta (1517), di Padova, era nato a Padova il 1436, giovanissimo entrò nel convento dei frati francescani annesso alla Basilica del Santo a Padova. Studioso delle scienze filosofiche, fu seguace di Aristotele e di Duns Scoto, tanto che fu definito dal Facciolati “principe degli scotisti della sua età”. Cominciò ad insegnare metafisica all’Università di Padova nel 1469 e proseguì nell’insegnamento quasi fino alla morte, nonostante ricoprisse per 22 anni l’ufficio di ministro provinciale della Patavina. Solo nel 1504, quando fu nominato commissario e visitatore apostolico, si fece sostituire da un altro frate del convento, ‘senza però che ne sentissero pregiudizio i suoi diritti magistrali’, riferisce il Gonzati. Papa Giulio II lo chiamò a Roma nel 1511 e gli conferì l’episcopato residenziale di Urbino il 7 novembre; in questa veste e con questo titolo il padre Trombetta partecipò al concilio Laterano. Tenne il vescovado di Urbino fino al 1514. Ma era troppo legato a Padova, all’Università e ai suoi studi e presto tornò a Padova con il solo titolo onorario di arcivescovo di Atene (dal 1514 al 1517). Tornato definitivamente a Padova, andò ad abitare in una casa in affitto al prato della Valle e morì ottantunenne il 6 marzo 1517. Aveva chiesto di essere sepolto nella basilica, accanto alla Madonna del Pilastro, di cui aveva favorito il culto e il decoro; e i frati del convento lo accontentarono. Con testamento del 25 febbraio 1517 aveva dato disposizione di donare tutti i suoi libri alla Biblioteca del santo e che furono consegnati dopo la sua morte dai nipoti”.
E Zaramella scrive: “Strano che abbia retto la provincia religiosa di Padova per 22 anni, mantenendo sempre l’insegnamento all’Università. A dire il vero, il papa Giulio II, francescano, l’aveva eletto vescovo di Urbino, e come tale intervenne al concilio Lateranense, che avrebbe dovuto riformare la Chiesa. Per poter continuare all’Università si fece commutare il vescovado di Urbino in quello titolare di Atene, che non lo obbligava alla residenza”.
Sartori riporta, a proposito del mausoleo: “Il 21 agosto 1521 gli eredi del P.M. Antonio Trombetta, don Sebastiano Pagliarini parroco di s. Maria di Castelfranco, e don Nicolò Pagliarini arciprete di Mantagnana, si impegnano a contribuire con quaranta ducati d’oro, alla spesa per innalzare il monumento al q. detto P. Trombetta: inoltre cedono per detto monumento ai massari dell’Arca i diritti che potessero avere contro terzi. Il lavoro venne allogato ai fratelli scalpellini Giovanni Matteo e Vincenzo Grandi ai quali vengono pagate l. 492. Il busto di Bronzo viene dato al Briosco per L. 310. Per l’erezione del monumento c’era il consenso dei frati, dei massari e dei Rettori. Per l’innalzamento fu scelto davanti all’altare della Madonna del Pilastro, luogo particolarmente amato e scelto dal defunto che in vita lo fece restaurare arricchendolo con le sue insegne e una volta morto lo aveva beneficiato con un lascito. I lavori iniziarono il 9 ottobre 1521 e nel luglio 1524 non era stato completato e i massari dell’Arca deliberarono di far finire la tomba o, meglio, il monumento di mons. Trombetta. Tempi lunghi dovuti anche al fatto che i nipoti non rispettarono i termini stabiliti dei pagamenti ed in particolare don Sebastiano che venne sospeso dal vescovo di Padova per ben due volte di cui l’ultima nel 1525”. Il monumento deve essere stato finito nella seconda metà del 1525. Il busto raffigura A. Trombetta nel suo saio, magro, dal portamento fiero e tranquillo, con zigomi ben definiti e mani nodose dalle lunghe dita; il frate regge con la mano sinistra un libro e con la destra poggiata sotto lo sterno indica il libro. E’ raffigurato lo stemma del padre Trombetta: un bellissimo gallo tra due lunghe trombe e quattro stelle; ai lati un cingolo attorcigliato, pile di libri, il mappamondo, la clessidra; sul fastigio il teschio e sotto due putti che nela parte inferiore diventano quasi sirene. Zaramella scrive “ricco di simboli francescani il monumento a uno dei primi e più famosi professori dell’Università di Padova. Sotto il busto è riportata la seguente iscrisione:
‘ANTONIO TUBETAE PATAVINO ATHENANTIST QUI PV METAPHY AN II ET XL PROFESSUS EST DIVI ANT. PROVINCIAE AN II SUP. XX PREFUIT. PLURAMO EDIDIT. AN AETATIS ALTERO ET LXXX NATURAE CESSIT HOSPITUM HOC AD DIEM NUMQ.REVERSUM (a Antonio Trombetta di Padova, vescovo di Atene che insegnò metafisica a Padova per 42 anni e presidente della provincia religiosa di S. Antonio per 22 anni. Pubblicò molti libri fondamentali. Cedette alla natura morendo a 80 anni. Riposa in questo ricettacolo monumentale in attesa dell’ultimo giorno senza ritorno) “.
Gonzati, in riferimento del mausoleo, scrive: “Il presente mausoleo non fa mostra di contenere le ceneri, ma due anni prima di morire, avendo il Trombetta chiesto al Capitolo Conventuale di essere sepolto ‘ad altarem sanctae Mariae a pilastro cui […] semper servavit devotionem’; noi siam d’avviso che i Padri avranno esaudito il pio desiderio, e poiché innalzarono il monumento in cotal luogo, appiedì del medesimo avranno deposto anche la venerata sua salma. Lasciò di pubblico diritto parecchie opere….noi, più che di queste, gli sappiam grado di quel grosso volume in pergamena su cui fece trascrivere tutti gli stromenti di vendite, compere, commutazioni, testamenti, codicilli, od altro che si riferisce al Convento e alla Chiesa, dal secolo XIV al XVI. Preziosissimo codice da cui attingemmo notizie sui nostri monumenti e sulla Basilica”.
Note bibliografiche
A. Bigoni, Il forestiero istruito sulle meraviglie e sulle cose più notabili che si ammirano internamente ed esternamente nella Basilica del glorioso taumaturgo S. Antonio di Padova, Padova, Stamperia del Seminario, 1816;
B. Gonzati, La basilica di Sant’Antonio di Padova descritta ed illustrata, Ed. A. Bianchi, Padova 1853;
V. Polidoro, Le religiose memorie scritte dal R. Padre Valerio Polidoro Padovano, Venezia appresso P. Meietto, 1590;
A. Poppi, Lo scotista patavino Antonio Trombetta, in Il “Santo. Rivista francescana di storia, dottrina e arte”, Vol 2°, 1962, pp. 349-367;
A. Sartori; Documenti di Storia e arte francescana, voll. 1-4, a cura di G. Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica del santo, Padova 1983-1989;
P. Selvatico, Guida di Padova e dei principali suoi contorni, Padova, 1869;
G. Vasari, La vita dei più eccellenti pittori, scultori e archtetori, Firenze, Ed. Giunti, 1568;
V. Zaramella, Guida inedita della basilica del Santo. Quello che della Basilica del Santo non è stato scritto, Padova Centro studi Antoniani, 1996;
www.padreplacidocortese.org, Nella Basilica del Santo, 1943;
www.archivio.arcadelsanto.org, Trombetta Antonio, 2022;
www.corieredelveneto.corriere.it, La Madonna del Pilastro, 11 giugno 2012;
www.ilmattinodipadova, Aldo Comello, La Madonna del Pilastro torna per ricevere i fedeli. 12 giugno 2012;
Note biografiche
1. Ragghianti Carlo Ludovico, storico dell’arte, critico d’arte, critico cinematografico, politico, antifascista, partigiano; nato a Lucca il 1910 e morto a Firenze il 1987.
2. Andrea Briosco, detto il Riccio o Crispo per la sua capigliatura folta e riccia. Nato a Trento; Padova fu il centro dell’attività artistica svoltasi principalmente nel campo della scultura in bronzo. Operò nella Basilica di Sant’Antonio di Padova ove le sue opere principali sono il candelabro del cero pasquale del periodo 1507-1516 e il monumento funebre a pare A. Trombetta. Morì a Padova nel 1532 e fu seppellito nella chiesa di S. Giovanni da Verdara.