I resti di Babele 25. La saggezza imprescindibile nei libri che ci saranno fatali

di Antonio Errico

Il 23 aprile di ogni anno si celebra la giornata mondiale Unesco del libro e del diritto d’autore. In un saggio che si intitola La saggezza dei libri, Harold Bloom, il più celebre e influente critico americano, professore a Yale, scrive: “per scegliere che cosa continuare a leggere e insegnare, mi attengo soltanto a tre criteri: lo splendore estetico, il vigore intellettuale e la saggezza”. Le pressioni delle contingenze, le situazioni sociali, le mode giornalistiche  – dice – possono anche oscurare per un certo tempo questi criteri, ma si tratta di un tempo, appunto, limitato. “Le opere che non riescono a trascendere il loro particolare contesto storico sono destinate a non sopravvivere”.

Ci sono libri che devono essere letti. Rappresentano condizioni essenziali di civiltà, di cultura. Sono tornasole di conoscenza e di coscienza. Portano l’esperienza di anni, di secoli. Devono essere letti perché – semplicemente – indicano strade – non una ma molte, infinite – lungo le quali ciascuno si ritrova in un giorno o l’altro della vita.

Ci sono libri che devono essere letti. Perché sono racconti o resoconti di destini, di storie. Dicono tutto quello che è accaduto e che quindi può accadere un’altra volta. Tutto il vissuto del mondo, il divenire del tempo, l’essere e il non essere, la realtà e la finzione, la verità e la menzogna. Dicono di sogni ad occhi chiusi e aperti.

Ci sono libri che devono essere letti perché hanno assorbito nelle parole le voci degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo, le loro fantasticherie e le loro paure, i sentimenti di odio e di amore, i silenzi più profondi di un  abisso e le urla alte più di mille Everest.

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