Intervista a Vittorino Curci

di Adele Errico

Vittorino Curci, nato nel 1952 in provincia di Bari, è poeta e sassofonista. Ha partecipato a festival di musica in tutto il mondo e ha collaborato con musicisti italiani e stranieri. Autore di diverse raccolte poetiche – solo negli ultimi anni “Il pane degli addii” (La Vita Felice, 2012), “Verso i sette anni anch’io volevo un cane” (La Vita Felice, 2015), “Liturgie del silenzio” (La Vita Felice, 2017), “L’ora di chiusura (La Vita Felice, 2019), “Poesie (2020-1997)” (La Vita Felice 2021)  -, saggi letterari e opere di narrativa, Curci è attivo nel panorama musicale e letterario italiano e internazionale.

Vittorino Curci, in occasione della rassegna “L’antico richiamo” si esibirà con “Mute profondità”. Viene da chiedersi se questa profondità sia quella del nostro Sud.

Sembrerà strano, visto che sono io il poeta del gruppo, ma l’idea di chiamarci “Mute profondità” è del nostro batterista Walter Forestiere il quale ha una spiccata sensibilità per le parole, come anche, devo dire, Gianni Console, l’altro componente di questa formazione nata nel 2017. “Mute profondità” è un nome che fa pensare… Tant’è che l’ho utilizzato come titolo di una mia poesia che ho dedicato proprio ai miei due amici musicisti: “al buio dopo rari lampi scartando / in un denso crepitare di foglie morte / i passi rubano parole / alla strada fatta // insensibile agli acuti che giungono / dalle mute profondità / della lingua madre / la felicità del giorno prima trafigge // le suole da parte a parte / cercando un ripiego di ore / polverizzate dal sole / con dosi massicce di nostalgia”. Certo, l’espressione “mute profondità” fa pensare anche al nostro Sud. Un Sud che è origine, orizzonte e fine del nostro impegno artistico. Non è un caso che nella poesia io parli di “mute profondità della lingua madre”.

A l’antico richiamo di “Fasano musica” avremo modo di esplorare ancora una volta, a modo nostro, cioè improvvisando, il mistero di queste “profondità”.

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