
Giovani contadini entravano a bere l’acqua del pozzo, dove si dice vi siano nidi di serpi, o si avvicinavano a un tavolinuccio di offerte a pagare litanie e figurine del Santo. Il locale, non grande, è diviso in due da un altare secentesco che arriva in alto a un palmo dal soffitto, con due stretti passaggi sui due fianchi per raggiungere il secondo vano, scuro e bianco di calce, in cui s’apre la bocca del pozzo. Un grande quadro di San Paolo occupa la pala ed una statua del Santo dal viso scavato da un misterioso ardore, e un angelotto che stringe fra le manine di cartapesta una serpe era qui in una nicchia, al riparo di fitte sbarre di ferro, ma l’hanno dovuta portar via di qui, alla Cattedrale, perché i tarantolati riuscivano ugualmente, non si sa come, a raggiungere e a sfregiare la statua. Del resto anche la grande tela è lacerata in più punti, non si sa se per un delirio di devozione o per qualche colore di quelli che fanno soffrire, poiché se alcuni dei posseduti dal male non può sopportare nessun colore vivace, e lì[3] ormai non ce n’è, per l’annerimento a cui son soggette queste tele non restaurate del Seicento, ve n’è altri che hanno dei colori speciali che li fanno impazzire, anche se attenuati: il colore, dicono, della serpe o tarantola che li ha punti.
Mentre dunque osservavamo la tela, sulla cornice superiore, da un vuoto che non poteva essere più alto d’un palmo, vedemmo sporgere la cosa grigia ed inaspettata che era la palma d’un piede umano. Poi strisciando lentissimamente la cosa si mosse e si vide una figura d’uomo in pantaloncini e nudo tutto il resto del corpo, coperto d’uno strato di polvere grigia che gli si era incollato sulla faccia e sul corpo, che usciva da quell’incredibile spazio come se uscisse da sotto un armadio, e quando fu fuori e come incollato al soffitto, sempre con movimenti rallentati e impercettibili l’uomo prima s’inginocchiò, poi s’alzo in piedi, a capo in giù con una mano posata leggermente sulla testolina d’uno dei cherubini barocchi che sormontano la cornice, con la leggerezza come se si appoggiasse a un bastoncino di vimini, e cominciò a passeggiare sul soffitto, tutt’intorno all’altare, con le ginocchia lievemente piegate ed ogni passo lentissimo e atteso, come se avesse i piedi incollati alla superficie bianca della volta e a ogni passo dovesse scollare il piede dalla pietra e aspettare che s’incollasse più avanti. Passeggiò due o tre volte davanti all’altare, con la mano posata sui riccioli dell’angelino di centro, come se li accarezzasse, e noi guardavamo con la testa in alto, muti e agghiacciati dalla sorpresa, eppure senza alcuna paura che cadesse. Poi si distese sulla volta, cambiò posizione e fra la stessa lentezza e il silenzio intorno, così teso che sembrava che passeggiasse in realtà sulle travi e le scale del nostro agghiacciato silenzio, e scivolò con una straordinaria lentezza lungo la pala dell’altare sostenendosi a appigli inverosimili; infine si distese tutto allungato sul piano dell’altare, con la testa appoggiata sul braccio sinistro e l’avambraccio levato in alto, e guardava fuori con una faccia che ricordava anche nei baffetti la maschera triste di Charlot, e gli occhi che scintillavano neri, con il dolore astratto che mostrano certe bestie quando guardano e pare che non vedano ecc. trasognate.

Venivano uomini e facevano offerte a San Paolo: una litania cinquanta lire; dieci lire un’immaginetta. Trascinata dai figli entrò una vecchia vestita di nero che fecero sedere su una lunga panchetta di legno che corre lungo una parete; il figlio uscì, dopo aver lasciato cinquanta lire di offerta; la figlia, vestita di nero anche lei, s’appoggiò sulla spalla la testa della madre svenuta e l’andava carezzando con un gesto dolcissimo, e quando alzava la mano portava alle labbra il pollice e l’indice uniti e mandava un bacio alla immagine di San Paolo ch’era sulla tela dell’altare, schiudendo piano piano le due dita mandava un bacio al San Paolo dipinto sull’altare.
Poi fu la volta di un vecchio che entrò gettando gridi, coi pugni tesi come irrigiditi e cominciò la sua danza tremolando e agitandosi tutto; ma si stancò presto e correndo sopra l’altare si accorse dell’altro tarantolato che stava lì, disteso e insensibile, e cominciò a dargli degli schiaffi sul viso, gridandogli: “Bello mio!” ch’è un’espressione di simpatia, specialmente nel dolore, in questi paesi. Poi senza toccarlo s’arrampicò sull’altare e rimase abbracciato a una colonna con un braccio levato in aria, finché sparì e la sua breve scena non riuscì a diradare il sospetto che avesse un po’ recitato una parte. Folate di paura investivano intanto la folla che era rimasta fuori, e lo si sentiva dai silenzi che subitaneamente la percorrevano.
Da Parabita, da Borgagne, da Ruffano, da Sternatia, da Cocumola andavano arrivando carri in ognuno dei quali cinque o sei uomini robusti non riuscivano che a malapena a trattenere un infermo, ed era magari una donna magra e dal corpo spossato dalla fatica, che il male faceva dibattere e divincolare come una furia. Per farle scendere bisognava ribaltare le sponde dei carri, sennò si sarebbero precipitate dall’alto, in mezzo alla folla dei contadini che guardava con un segreto timore poiché è certo che essi sentono che quei disgraziati, morsicati dal male che può colpire ciascuno di loro, pagavano per tutti; pagavano per il loro silenzio, per la loro rassegnazione, per la trasandatezza delle loro anime perse in fatiche che fiaccano, sotto un implacabile sole, dove la tarantola che è in agguato[4]
[In «Sinestesieonline», a. XIV, n. 47, 2025]
[Il testo qui riprodotto si basa su un dattiloscritto di sette ff. di carta velina numerati con inchiostro verde, di cm. 14,3 x 22, conservato nell’Archivio Bodini presso la Biblioteca Centrale dell’Università del Salento (b. 19, fasc. 80, sottofasc. 15). La scritta «Tarantolati», di mano dell’autore, figura manoscritta con inchiostro verde, sul recto dell’ultimo foglietto, oltre che ripetuto sul recto del primo, ma di mano diversa. La trascrizione è fedele all’originale. I nostri interventi si sono limitati a quelli indicati nelle note a piè di pagina.]
[1] Nel testo «Massachussets».
[2] Cfr nota precedente.
[3] Dopo «e lì» segue non cassato «nel» che però non ha seguito nel testo.
[4] Il testo è privo di conclusione.