Il mare tra le terre e la letteratura in Puglia

di Ettore Catalano

Partiamo da una riflessione sul confine: non solo ciò che separa e divide, ma anche l’insieme dei punti che si hanno in comune (bordo, margine, frontiera e confine). In altre parole c’è una con-tiguità e un con-tatto che rappresentano il lato debole del confine, un confine che unifica e non contrappone, in cui la prima parte della parola (con) vince sulla seconda (fine). È un suggerimento tratto da Franco Cassano e dal suo pensiero meridiano, allorché afferma che tocca agli intellettuali non integralisti e non razzisti essere come dei passeurs che conoscono valichi e passaggi dall’una all’altra cultura e si distinguono dalla chiassosa progenie degli economisti, i teorici dell’homo currens, quelli che invitano a correre in ogni momento della vita e della giornata. Ma a che serve correre per finire in uno dei tanti Bronx del mondo? Può l’affamato assistere sempre alle feste degli altri e nutrirsi dei suoi avanzi? Stefano Benni, in uno splendido racconto raccolto ne Il bar sotto il mare, parla di un grande chef francese costretto a cucinare, sulle splendide terrazze della Costa Azzurra, per i ricchi, i pescecani, i contrabbandieri di armi e di vite umane, mentre giù i dannati della terra si cibano dei loro avanzi.

La politica non basta, ce ne siamo resi tragicamente conto tutti. Certo essa è necessaria, ma dove essa latita o è incerta, supplisce l’umana solidarietà di un popolo come quello italiano che sa bene quanto sappia di sale “lo pane altrui “. Ma io credo anche in un’idea diversa della cultura, non più monopolio di pochi, ma polline sparso della bellezza necessaria alla vita (non dico sopravvivenza, dico vita, in essa intendendo anche il diritto alla felicità e alla fruizione del bello e dell’arte). Gli scrittori, ci ricorda Raffaele Nigro nel suo Diario mediterraneo del 2001 sono essi stessi dei libri vaganti e il loro muoversi nel Mediterraneo attiva energie positive che aiutano a costruire un dialogo oggi assolutamente necessario.

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