Divenne procuratore di San Marco, la più alta carica dopo quella del Doge istituita da un altro Contarini, il doge Domenico I (morto il 1071). Quindi negli ultimi anni della sua vita riuscì a realizzare l’ingresso nei massimi organi politici della Repubblica Veneta, dai quali, lui, uomo di mare, era rimasto escluso. Alessandro Contarini il 16 marzo 1553 morì a Padova dove in precedenza aveva trascorso qualche breve periodo, nel 1513, restandone affezionato, e volle che gli venisse eretto un monumento in un preciso sito della Basilica (notizie tratte da: La Basilica di Sant’Antonio: itinerario artistico e religioso di p. S. Ruzza, Centro studi antoniani, 2016).
Charles Davis nel 1995 ha reso noto il testamento di Contarini, rogato l’11 marzo 1553 nella residenza patavina dei Contarini. Alessandro desiderava un monumento nella Basilica del Santo, nel pilastro che fronteggia il cenotafio di Pietro Bembo dove voleva fosse posta “la mia statua di marmoro, la quale ho in casa a Venetia”. Questo documento è fondamentale perché dice che il Contarini aveva fatto eseguire il suo busto al Cattaneo mentre era ancora in vita, quindi due anni prima della commissione del sepolcro, ai lavori del quale il carrarese Cattaneo è di fatto estraneo. Per la parte architettonica fu dato l’incarico a messer Michiel de San Michiel inzegnere”. Rossi (1995) dice che il Contarini aveva scelto il carrarese Cattaneo per il “felice esito del busto del Bembo e in ragione della fortuna immediata del cenotafio del cardinale” e poi per i rapporti di amicizia esistenti tra il pittore veronese Francesco Torbido (1482-1562) e lo scultore Cattaneo. Inoltre, il Vasari (1511-1574) dice che Torbido fosse stato autore a Venezia dei perduti ritratti di messer Alessandro Contarini, procuratore di S. Marco e provveditore dell’Armata. L’esecuzione del busto del Contarini si deve collocare dopo il 1550, data del cenotafio del Bembo, e prima del 1553, data del testamento di Contarini.
Il 19 marzo 1553, a soli otto giorni dalla morte del Contarini, di fronte ai deputati, ai consiglieri e al podestà di Padova Marcantonio Grimani venne letta la supplica con cui Pandolfo, fratello del defunto Alessandro, chiese il permesso di erigere il sepolcro nel luogo effettivamente indicato nel testamento. Alessandro aveva stabilito come spesa la somma di 300 fiorini e probabilmente i soldi erano finiti, e questo impose ai fratelli Pietro e Pandolfo di accontentarsi, ad un certo punto, di quanto fino a quel momento era stato eseguito e per il resto “gli elementi non finiti sui fianchi del monumento” si giunse ad una affrettata conclusione.
Sartori riporta la concessione per il monumento ad Alessandro Contarini: “Convocato Consilio […] Il Clarissimo Missier Pandolfo Contarini havendo fatto intender alli Spetabili Deputati, che il quondam Clarissimo Missier Alessandro Contarini Proveditor suo fratello a questa Città affetionatissimo, volendo dimostrar quanto gli sia stata carissima nell’ultimo di sua vita ha ordinato, et al prefatto Magnifico Missier Pandolfo imposto, ch’il suo corpo sia sepolto nella Chiesa di Sant’Antonio Confessor avanti lo Pilastro di fine pietre gli sia fatta la sua effige con lettere che dimostrino l’affetion sua verso questa Città, et perciò essendo mancato da questa vita, desideroso il Magnifico Missier Pandolfo eseguir il dato ordine, ha con instantia richiesto che gli sia data licentia d’eseguire quanto è predetto. Promettendo nel detto Pilastro far cosa honorevole, senza detrimento de quello, et senza far altra sepoltura, il che ottenendo lui con tutta la sua Famiglia, ch’è aggetionato, et sarà obligatissimo a questa Comunità.
Li Magnifici Deputati hanno giudicato conveniente a questa città gratificare sua Magnificentia a perpetua memoria delle singolari virtù del predetto quondam Clarissimo Missier Alessandro. Però l’anderà parte, che per l’autorità di questo Consiglio sia data licentia al presente Magnifico Missier Pandolfo di far sepelire il corpo defunto avanti lo Pilastro predetto, senza fargli altra sepoltura per non impedire la Chiesa, et che nello stesso Pilastro possi erigere l’effigie di esso quondam Clarissimo Missier Alessandro con quelli ornamenti, che gli pareranno convenienti alla dignità di tanto homo, et al decoro del loco, purché il Pilastro non sia intaccato per l’effigie, non s’intendi più di quello è sta fatto nella figura del predetto Reverendissimo Cardinale per non debilitare esso Pilastro.”.
La domanda fu approvata nello stesso anno 1553 dai Deputati padovani presieduti da Paolo Alvarotti, con 71 voti favorevoli e 2 soli contrari.
Il progetto del monumento è di Michele Sanmicheli (Verona 1487/88-1559), uno dei massimi architetti veneti del Cinquecento, impegnato soprattutto in opere militari, amico del Contarini e in quell’occasione interpellato dalla Veneranda Arca di S. Antonio sui particolari problemi di statica in basilica. Gonzati riporta quello che scriveva il Vasari, ossia che il Sanmicheli nell’architettare il sepolcro si scostò dai modi ordinari e afferma: “In questa sepoltura che è molto ricca per ornamenti e di composizione soda, ed ha proprio del militare, pare che Michele volesse mostrare in che maniera si devono fare simili opere, uscendo d’un certo modo ordinario, che a suo giudizio, ha piuttosto dell’altare e cappella che del sepolcro”. E ancora Gonzati:“Siccome il valente architetto non ignorava a quali eccellenti scultori ne venisse affidata l’esecuzione lo disegnò per fama, che l’abilità di ciascuno di essi potesse campeggiarvi liberamente. Né l’effetto fallì all’intenzione”.

Particolare (Telamoni, fregio del sarcofago, epigrafe) del monumento ad Alessandro Contarini.
Il monumento fu iniziato nel 1555/56 e compiuto nel 1558/59. Zaramella scrive: “Magniloquente, grandioso monumento, cui parteciparono tanti artisti, quasi quanti nella cappella del Santo”. Ebbero un ruolo fondamentale tre artisti tutti della scuola del Sansovino. Uno è Alessandro Vittoria (Trento 1525- Venezia 1608), uno dei massimi della scultura veneziana del Cinquecento. Egli scolpì: i due Telamoni (nota 1), a sinistra, con la fiaccola all’ingiù (segno funebre), modellati, dice il Temanza (1705-1789) sul gusto di quelli che si vedono nella colonna Traiana: “I loro atteggiamenti, le membra nerborute, l’anatomia dei nervi, tutto v’è conforme a natura”. Vittoria scolpì la Nereide o Tetide (madre dell’Oceano e dea delle acque terrestri, detta la vecchia; figura che allude al dominio di Venezia sulla terra e sui mari), posta a sinistra, il Tritone a sinistra e la Fama alata che domina dalla piramide. La firma “Al Vic” è leggibile sulla fascia pettorale della Fama, altrove si legge “ALEXANDER VICTORIA FACIEBAT”.
Altro scultore è Pietro Grazioli da Salò (1500- 1561) che scolpì gli altri due Telamoni posti alla destra di chi guarda; essi non sono che fredda imitazione di quelli a sinistra; e lo stesso scultore è autore dell’altra Nereide posta a destra “triviale femminuccia anziché ninfa” -dice il Gonzati- su cui appare la scritta Petrus Salodius faciebat; rappresenterebbe la Venere Marina o Venere Cypria (dea del mare e in particolare del regno veneziano di Cipro). E’ probabile che lo stesso scultore sia autore del fregio del sarcofago gremito di armi, spoglie militari, prigionieri e altri trofei bellici del Contarini e al centro lo stemma del Contarini sormontato dal leone di s. Marco. Infine, dello stesso autore potrebbe essere la seconda arca di dimensioni minori e i due putti ai lati con fiaccole rovesciate (segno funebre) e che reggono un festone di fiori e frutta; e ai lati troviamo due piedistalli figurati con trifoni in atto di suonare le buccine.
Il terzo scultore è Agostino Zoppo (1520-1572) che, secondo la testimonianza dello Scardeone, fece gli altri Telamoni che stanno ai fianchi del mausoleo. Tutti i telamoni sorreggono il sarcofago.
Si eleva la piramide con i suoi gradoni e nel mezzo in una nicchia si vede il busto possente del Contarini, opera di Danese Cattaneo (1508-1572) per “poco inferiore all’altro che egli scolpiva nel monumento del Bembo”. E l’ammiraglio con la lunga barba “un blocco compatto di ricci” ha sul petto la testa di Nettuno fra due tridenti. Cattaneo presenta il Contarini “nelle vesti di un generale greco come Milziade o Temistocle”, sostiene Zaramella.
“Il basamento, scrive Zaramella, “è un vero incanto con quei galeoni veneziani veleggianti sulle onde, sospinti dal vento: un paesaggio marino dove sei navi cinquecentesche, identificate in due galeoni, due galee, un’altra galea di dimensioni maggiori detta bastarda (che di solito ospitava il comandante della flotta, ndr) ed infine una saettia” (tipologie di navi con caratteristiche ed utilizzi diversi, ndr) veleggiano in un mare sgombro di navi nemiche. Ne fu dolcemente impressionato anche il D’Annunzio, che così scriveva in un telegramma all’amico Guido Treves: ‘Ti auguro le vele gonfie come nel bassorilievo del Contarini della Chiesa del Santo a Padova’. Il bassorilievo del Contarini e quello del monumento funebre a Girolamo Michiel, attribuito ad Andrea Moroni, addossato al quarto pilastro a sinistra della navata centrale costituiscono “la flotta del Santo”, come dice Emilio Cannarsi in “La flotta del Santo. Immagini fotografiche di Benedetto Morassutti, Padova, stampato presso Grafiche Turato, Rubano, 2004”. Sono due bassorilievi raffiguranti i bastimenti rinascimentali della Serenissima Repubblica.
Ma le statue sono tante e altrettanti sono gli artisti che cooperano al monumento e tra gli altri già citati, Zaramella riporta: “Giovanni da Straia, squadrone, Gasparo Della Trinità, tagliapietra, Giovannantonio Da Minino, tagliapietra, Giovanni da Sasso, tagliapietra, Baldissera garzone di mastro Pietro da Salò, Francesco di Natal, Francesco del Salo, Tommaso da Zara, intagliatore e mastro Antonio De Picio. “Un vero esercito di artisti o garzoni per questo monumento super ricco di statue e di rilievi schiaccianti […], ma i nomi potrebbero essere molti di più. Il difetto piuttosto vistoso è che il mausoleo è così largo che deforma il pilastro già largo e lo allarga considerevolmente nei tre lati”. Ed è il secondo pilastro della navata centrale, dove viene esposta la statua del Santo in occasione della sua festa.

E infine la lapide in marmo nero con l’ epigrafe:
HANC ALEXANDRI CONTARENI VENETAE CLASSIS CUM SUMMA POTESTATE FORTISSIMI LEGATI/ DIVI MARCI PROCURATORIS QUEM NEC VENTI/ IN PERICULOSISSIMIS REPUBLICAE TEMPORIBUS/ RETARDARUNT UNQUAM ET HADRIADENUS BARBAROSSA OTHOMANICAE/ CLASSIS IMPERATOR POTENTISSIMUS SAEPE TIMVIT/ TAM MIRABILI ARTIFICIO DUCTAM EFFIGEM/ MAGNI INDICEM ANMI PRAECLARUMQUE/ TOTIUS MARITIMAE DISCIPLINAE SIMULACRUM UT POSTERITAS HABERET QUOD INSTAR/ IMMORTALITATIS AC GLORIAE UNICE COLERET/ NE QUIDQUAM PATAVINO SPLENDORI DEESET/ PETRRUS ET PANDULPHUS FRATRES OPTIMI POSERUNT/ VIXIT ANNOS LXVII DIES VIIII/ OBIIT XVII KALENDAS APRILIS MDLIII.
(Piero e Pandolfo elevarono all’ottimo fratello questa effige riprodotta con tanta abilità artistica di Alessandro Contarini generalissimo, fortissimo, provveditore di mare della flotta di Venezia con sommi poteri, che neppure i venti pericolosissimi per la Repubblica mai ritardarono, e che lo stesso potentissimo Adriano Barbarossa, generale della flotta ottomana, spesso temette. L’effige che vuol essere indice del grande animo ma anche mausoleo di tutto ciò che riguarda il mondo della vita marittima, la elevarono perché si desse l’onore attraverso il mausoleo, che vuole onorare unicamente la immortalità e la gloria. E perché non mancasse qualcosa allo splendore di Padova, i fratelli elevarono qui il monumento. Visse 67 anni, 9 giorni. Mori il 16 marzo 1553).
E come scrive Zaramella: “Chiaro il pensiero ma troppo involuto, tutto dipendente dal soggetto in fondo, da effigem e simulacrum. Un po’ troppo!”.
Luca Siracusano riporta: “Il monumento offre un effetto d’insieme disgregato, sproporzionato, ineguale. E ad un esame solo superficiale balzano all’occhio […] elementi assemblati in modo corrivo o persino incompiuti. Il sepolcro celebra una classe sociale, quella del patrizio lagunare che appare fuori contesto nel panorama dei sepolcri patavini del Cinquecento; rappresentava un fatto profondamente nuovo da un punto di vista stilistico con lo spiccato romanismo”.
Nota 1. I telamoni, come spesso è stato scritto, non raffigurano degli schiavi, ma erano rematori forzati, condannati a tale pena dopo regolare giudizio dei loro reati. E il loro impiego come rematori nella flotta veneziana si era imposto a partire da circa la metà del ‘500, sia per il progressivo calo dei volontari dalmati e greci sia per l’impossibilità di usare schiavi ottomani nel rispetto del trattato stipulato con la “Sublime Porta” nel 1540 (A. Calore). Il trattato era stato stipulato tra la Repubblica Veneta e l’Impero Ottomano. Il termine “Sublime Porta” non era un luogo fisico specifico, ma un modo per indicare il potere e l’autorità dell’Impero Ottomano, simile all’uso del termine “Cremlino”, per riferirsi al governo russo, o “Casa Bianca”, per riferirsi al governo statunitense.
Bibliografia
A. Calore, Note sul monumento ad Alessandro Contarini nella Basilica del Santo. Il Santo n.28, 1988, pg 71-79.
C. Davis, Il monumento Contarini al Santo di Padova, in “Michele Sanmicheli. Architettura, linguaggio e cultura artistica del Cinquecento. Atti del Convegno, a cura di H. Burns, C.L. Frommel, L. Puppi. Vicenza Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio 1992, Milano, Electa 1995.
L. Finocchi Ghersi, Sculture del monumento funebre di Alessandro Contarini. Padova, Basilica di sant’Antonio (1556-1558) in “Alessandro Vittoria. Decoratore e scultore (1525- 1608). Scipta Ed. 2020.
B. Gonzati, La Basilica di Sant’Antonio di Padova. Ed. Bianchi, Padova 1852.
M. Rossi, La poesia scolpita. Danese Cattaneo nella Venezia del Cinquecento, Ed. Maria Pacini Fazzi, Lucca 1995.
S. Ruzza, La Basilica di Sant’Antonio. Itinerario artistico e religioso, Padova, Centro Studi Antoniani, 2016.
A. Sartori, Documenti di storia e arte francescana, A cura di G. Luisetto. Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo, Padova Vol. I – IV 1983 1989.
L. Siracusano, Scultura a Padova: 1540-1620 circa. Monumenti e ritratti, Tesi di dottorato in Studi Umanistici, Università di Trento, 2013.
T. Temanza, Vite de’ più celebri architetti, e scultori veneziani che fiorirono nel secolo decimosesto, Venezia, C. Palese, 1778.
G. Vasari. Le vite dei più eccellenti pittori, scultori, et architettori. Michele Sanmicheli, Firenze, Giunti, 1568.
V. Zaramella, Guida inedita della basilica del Santo. Quello che della basilica del Santo non è stato scritto, Centro Studi Antoniani, Padova, 1996.