Quando Luigi Chiriatti raccontò il “morso”


“Morso d’amore” è ritenuto il volume più rappresentativo del neotarantismo, il movimento che ha origine nel folk revival musicale degli anni ’70, e raccoglie il testimone della letteratura demartiniana, che a partire dagli anni ’50 dedica grande attenzione alle classi sociali subalterne di origine contadina: tra i temi centrali, il morso mitico della tarantola, la pizzica e il culto di san Paolo, dalle prime inchieste alla collaborazione con la regista Annabella Miscuglio
«Il libro – spiega Giovanni Chiriatti – nasce dalla tesi di laurea di mio padre e si apre con i suoi ricordi d’infanzia, per poi passare alle interviste ai depositari di quella cultura e al confronto con altri studiosi. Da intellettuale organico e di formazione gramsciana non ha mai disgiunto la sua azione di ricerca da un impegno politico, volto a denunciare le condizioni di miseria in cui versava il Mezzogiorno d’Italia».
Così, le pagine del volume – con la nuova introduzione dell’antropologo Fabio Dei – portano avanti quella missione che Chiriatti ha inteso perseguire con la sua formidabile attività di ricerca: mantenere vivo il ricordo delle tradizioni perdute – ora assimilate come parte imprescindibile dei tratti identitari del territorio e della sua cultura immateriale – talvolta intaccate da una metamorfosi antropologica e dall’effetto erosivo di una razionalizzazione che vedeva nella cancellazione della memoria la soluzione per superare i limiti e le tensioni del passato. L’opera, quindi, fornisce una rappresentazione sociale del tarantismo, un’antropologia nativa che trova un aggancio con la realtà nella testimonianza diretta dei fatti. La scrittura di Chiriatti vince la sfida di mantenersi in equilibrio tra l’essere al tempo stesso un ricercatore e un testimone, senza mai cedere a una scienza arida o al soggettivismo dell’introspezione.
Come osservato dall’antropologo Giovanni Pizza, “Morso d’amore” ripercorre in “maniera ispirata e a tratti quasi mimetica la vicenda demartiniana […]. Entrando nel vivo dell’opera, Chiriatti si misura, infatti, con la sfida di raccontare il male di San Paolo, con una tecnica di partecipazione agli eventi senza distacco dal punto d’osservazione”. Perché anche le stesse modalità di scrittura, che scandiscono le sezioni del libro, sono parte integrante del discorso antropologico. Dopo una rassegna sui maggiori studi sul tarantismo tra il 1961 e i primi anni ’90, il volume raccoglie interviste e testimonianze, esito di un costante monitoraggio compiuto dall’autore a partire dagli anni ’70. Una figura centrale del volume è, poi, la “tarantata sorda” Cristina: a nulla valgono il canto e la musica per esorcizzare il suo “male”. Così, quel “latte della cultura popolare” e quel “magma ancestrale” che hanno fatto dell’autore un interprete autentico delle dinamiche popolari, si risolvono in quella che Sergio Torsello – ricercatore scomparso nel 2015, amico di Chiriatti e suo compagno in diverse iniziative, studi e nella direzione de La Notte della Taranta – ha definito una scrittura autoetnografica. Con una postura di compartecipazione molto originale: “Chiriatti […] – scrive Torsello in una recensione a “Morso d’amore” pubblicata sulla rivista Melissi nel 2013 – cerca di esorcizzare, attraverso la scrittura, il rischio incombente di essere risucchiato nel vortice della dimensione più oscura del rituale”.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 29-06-2025]

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