La poesia di un “contemplattivo”: per Odio Ménière di Gerardo Trisolino

di Ettore Catalano

Le citazioni ci aiutano a circoscrivere la rotta intertestuale di Trisolino poeta, oscillante tra il fascino un po’ dandy dell’ultimo Montale,ricco anche di incursioni nel territorio prima proibito del quotidiano coniugale,l’impeto passionale e civile del Neruda che poteva trascorrere dal profumo erotico ai sapori popolari della cucina,passando attraverso il meridionalismo asciutto e polemico delle ultime raccolte poetiche di Vittore Fiore,fino al grande esempio barocco-salentino-andaluso di Vittorio Bodini, giù fino alla riflessione  sul destino della poesia di Mario Luzi e magari anche sulla migliore linea poetica del novecento poetico di origine meridionale e di respiro nazionale, come la poesia di Cristanziano Serricchio, senza l’impegno cosmico e religioso del poeta garganico, ma con maggiore ambizione di presenza politica e civile.

Nella lucida prefazione, il mio collega Antonio Lucio Giannone coglie i due poli dell’attività poetica di Dino Trisolino l’io e il mondo, la dimensione privata e quella pubblica, il ripiegamento interiore e la riflessione sul reale,ma sottolinea anche, e fa bene, il flusso continuo di immagini e di emozioni tra i due poli, sicché appare corretta l’autodefinizione che il poeta offre di sé, come un “contemplattivo”, un poeta, cioè, che non rifiuta lo sguardo riflessivo ma lo coniuga con un coinvolgimento che si definirebbe prammatico, naturalmente nei termini in  cui tale definizione può darsi quando si parla di letteratura. Daniele Giancane, a sua volta, nella postfazione, pur muovendosi nel solco delle indicazioni fornite da Giannone, sottolinea la difficoltà, per un poeta e per Trisolino in particolare, di coniugare insieme sguardo sociale e animo meditativo e perciò parla di “leggerezza”, intendendo con ciò una sorta di distacco e di saggezza, che costruiscono versi che quasi danzano con ironia nella pagina.

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