di Antonio Devicienti

«Qualche anno fa, riflettendo sul mio modo di comporre i libri, mi è capitato di definirmi col nome greco di rapsodo, ovvero cucitore di canti (leggi lo Zibaldone salentino, 2020, p. 118). Comporre un libro per me non significa scriverlo dopo un’attenta pianificazione, ma solo mettere insieme quanto mi è occorso d scrivere in un certo arco temporale, oltre il quale, se non intervenissi con un atto della volontà a precisare i confini del mio lavoro, probabilmente questo rimarrebbe nella forma dei disiecta membra e io stesso prima o poi ne smarrirei la memoria» scrive Gianluca Virgilio a pagina 7 nella Premessa al suo Zibaldone salentino II e altre rapsodie or ora pubblicato da Edit Santoro di Galatina.
E infatti il corposo volume raccoglie pagine che sanno essere di volta in volta argute, nostalgiche, tenere, ironiche, sempre sorvegliate dal punto di vista stilistico, sempre stimolanti – che si tratti di una nota di lettura o di una pagina di diario, di un discorso pubblico o di argomentazioni su di un tema specifico, di una riflessione relativa a una personalità della cultura o a racconti legati all’esperienza di docente, di memorie d’infanzia e di giovinezza, anche questo Zibaldone salentino è spazio ampio e luminoso per il pensiero non disgiunto da partecipazione umana e da inflessibile onestà intellettuale.

L’ispirazione leopardiana esplicitata nella prima metà del titolo stesso è già di per sé una coraggiosa assunzione di responsabilità e intendo dire che la serietà e la vastità dello Zibaldone del Recanatese pretende il medesimo sguardo lucido e rigoroso, la medesima consapevolezza che la scrittura è insieme un atto di stile e una pratica di etica; la Sallentinitas, invece, è ben lungi dall’essere provincialismo e sciovinismo, ma consiste in un osservatorio geograficamente, culturalmente e storicamente privilegiato a partire dal quale l’orizzonte si estende a trecentosessanta gradi all’intorno.





























































