di Antonio Errico

La formazione e la cultura di questo Paese sono affidate ad un esercito di eroi senza gloria, senza riconoscimenti e senza riconoscenze, chiamati insegnanti. A volte precari; molto spesso precari. Quindi: ancora più eroi. Assediati e insidiati da un carico burocratico che spesso non trova nessuna coerente motivazione, loro credono ancora che insegnare sia il più entusiasmante mestiere del mondo. Non lo cambierebbero per nessuna ragione, né per uno stipendio migliore, né per soddisfazioni maggiori, né per avere potere.
Nonostante le piccole e grandi amarezze quotidiane, le più o meno cocenti frustrazioni, nonostante i pregiudizi, le umiliazioni di chi non capisce, non vuole capire l’essenzialità della loro funzione, nonostante lo sgretolamento del prestigio sociale che il loro mestiere ha subito e continua a subire, loro ci credono ancora. Entrano in classe e producono pensiero, conoscenza, formazione. Credono che per confrontarsi con l’universo sia indispensabile imparare a leggere e a scrivere, a fare i conti senza usare le dita, a scendere nelle profondità di un verso di Leopardi, nei segreti abissali dello spazio e del tempo rivelati con una formula di poche cifre, a comprendere la sostanza di un teorema di geometria, a interpretare la storia e un testo di filosofia, a riconoscere la vita in un processo di biologia, a scandagliare le cognizioni e le emozioni con i criteri della psicologia, a stupirsi per il miracolo di un’opera d’arte. Credono che sia indispensabile imparare a pensare in modo diverso, a comportarsi in modo diverso, ad esistere con più consapevolezza, più sensibilità, più responsabilità nei confronti degli altri, di se stessi.





























































