Venezia zoomorfa

di Antonio Montefusco

Il libro di Stefano Riccioni (Il bestiario medievale di Venezia. Animali e creature fantastiche nella città dei dogi, Roma, Carocci, 20,00 E.) non è l’ennesima guida “insolita” di Venezia ma un percorso radicalmente storico, fatto di pietre e di immagini, che rendono la città un Bilderatlas, un atlante di forme che, sedimentate nella tradizione, irrompono nel contesto particolarissimo della città medievale. Le pàtere, formelle circolari con bassorilievi, sono la forma principale di decorazione scultorea delle costruzioni ecclesiastiche e civili; si trovano nelle chiese, sulle case e sui pozzi e la loro diffusione è capillare, al punto da formare una sorta di alfabeto figurativo nel quale è immerso il cittadino veneziano, o più semplicemente il passante. Riccioni ne ha censite quasi 600; la particolarità di questo atlante è che si tratta di figure esclusivamente di animali.

Per questo motivo Riccioni parla di bestiario, utilizzando la categoria nel senso medievale del termine: il mondo naturale, e in particolare quello animale, era considerato la proiezione dell’attività di Dio, il prolungamento visibile del mondo invisibile. Raffigurazione e iconografia delle bestie rispondono alla stessa dinamica di testi diffusissimi, nati in greco e poi diffusi in latino e in lingue volgari, come il Fisiologo: sebbene il titolo significhi ‘il naturalista’, molto poco del naturalismo moderno è rintracciabile in queste opere e nell’universo mentale che esse rappresentano. La natura vi è descritta in maniera dettagliata, ma il suo significato profondo è morale: essa, cioè, è destinata a insegnare agli uomini a distinguere il bene e il male nel quadro della creazione divina. Questa assenza di autonomia scientifica porta naturalmente a eliminare ogni distinzione tra animali veri e animali di fantasia, che con la loro natura spesso doppia (come la sirena o il grifone) moltiplicano il significato allegorico e didattico a scapito di quello che noi chiameremmo scientifico.

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