La scrittura magnetica di Antonella Lattanzi

Detta così, con due ragazzine che crescono fino ai giorni nostri, sembrerebbe un bel romanzo di formazione e di amicizia, tra memorie scolastiche e prime bollenti delusioni, tra emozioni primigenie che introducono alla vita e assolute inebrianti scoperte dell’amore e del sesso, davanti alle rive pugliesi adriatiche e alle periferie sempre uguali nel tempo di Bari.

Sì, tutto questo c’è. Ma siamo solo a metà. Il resto è puro terrore. Chiara e Marianna sanno dal loro primo incontro, per un istinto animale, di essere diverse da tutti gli altri. Nelle loro famiglie, in maniera molto diversa, aleggia violenza e angoscia, schizza sangue a fiumi, si contorcono corpi viola di lividi, mentre bambine dalle dignità calpestate cercano di imparare l’arte della sopravvivenza e della gioia: perché non può finire tutto così.

Non diremo i dettagli, ma va chiarito subito: non si parla di pedofilia, non ci sono qui abusi di tipo sessuale. E anche, diciamo così, per una certa “particolarità” del terrore raccontato il romanzo di Antonella Lattanzi si fa leggere tutto d’un fiato. Anche quando il fiato te lo toglie. La banalità del male (ci aiuta la geniale Arendt) ha forme terribili, scava fenditure taglienti che scorrono tra inimmaginabili palcoscenici familiari. Crea mutilazioni che segnano cuori e pelle. Affetti amputati destinati a replicare schemi di durezza, contro se stessi e gli altri. “Perché noi dovevamo stare attente a valutare i mutamenti dell’energia, l’andamento delle voci dei nostri genitori…”: per evitare il più possibile “le conseguenze”.

Marianna e Chiara riconoscono nella difformità di due stili familiari opposti (medio alto borghese il primo e popolare il secondo) madri sottili come ombre fragili e amati padri potenti che spesso mostrano il volto di un dio cattivo, un mostro da nascondere al mondo. E la madre vittima che non riesce a salvarti finisce per essere meno amata e meno “vista” rispetto al padre, per una sorta di dedizione che porta al compiacimento del genitore più aggressivo. Un modo per salvarsi forse, provando a gestire il male.

Come a chi, abituato a sentirlo “dentro”, tocca imparare a stare senza il mare, così si impara a vivere senza una famiglia decente. Senza una routine nutriente che fa da nido. Però le cicatrici figliano male.

Finché le due ragazze ci sono l’una per l’altra esisterà sempre un altro loro mondo. Ma un giorno quel “saremo insieme per sempre” si sa come finisce… O forse no. “Il maglione di lana della mia vita con Chiara, di tanto in tanto, si è bucato. Il foro di una sigaretta che brucia la lana, un gancio che si attacca al maglione e lo sfila, il foro di un proiettile, il foro di un dolore, o di un chiarore”. Letteraria e contemporanea, la scrittura di Lattanzi ingoia il lettore. Nessuno si salva qui. Di soppiatto, con una potenza in odore di catarsi da tragedia greca, ti trascina dentro.

“Bari invece non era mai cresciuta da quel punto di vista, la casa del padre periferia era e periferia rimaneva”: la città pugliese è una sentita presenza che cadenza la storia, dagli anni Novanta ad oggi. I ragazzi con i motorini sul lungomare mentre le onde ruggiscono in sincrono con i loro cuori esplosivi e acerbi, il vento di sale che scuote le esistenze, la stazione con le aiuole con l’acqua intermittente che ti sveglia se dormi per terra, magari dopo troppe Roipnol. E quella odiosa sacrosanta ansia provinciale del “non mostrare, non dire”…ansia che poi ti fa andare via.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 28 ottobre 2025]

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