Le Operette, libro morale perché poetico. Il poetico per Leopardi – riapriamo lo Zibaldone – è quel che la ragione moderna non coglie, o esclude dalla sua visione, quel che la ragione rimuove nell’analisi della natura: perché il poetico è quel luogo dove il visibile confina con l’invisibile, il finito con l’indefinito, il qui con l’oltre. Il poetico è il soffio della leggerezza dato dal rapporto con l’“altra vista” e con l’alterità, quell’alterità che Baudelaire dirà propria dell’“étranger”: il poeta come “étranger”. Il poetico-morale delle Operette informa della sua tensione immaginativa e insieme riflessiva i personaggi: il dio-fanciullo Amore mandato infine sulla terra, tra gli uomini, a compensare il vuoto apertosi con la lontananza della “puerizia” e con la fine delle sue care immagini, il desiderio mai spento nella dolceamara malinconia del Tasso, l’esitazione, alleata del sogno e dell’attesa, del navigatore Colombo, il sapiente e ironico funambolismo di Ottonieri, il sogno di leggerezza che visita Amelio, filosofo solitario, mentre ascolta un mattino il canto degli uccelli.
Quel morale delle Operette poggia sull’idea che la poesia possa agire e allo stesso tempo essere al di là dell’azione, oltre l’azione. Viene in mente una frase del giovane Rimbaud: “La Poésie ne rythmera plus l’action; elle sera en avant”, la poesia non sarà più ritmo dell’azione, sarà avanti (di questo “en avant” della poesia di cui diceva Rimbaud un filosofo, Martin Heidegger, chiederà una chiarificazione esegetica a un poeta, René Char).
Ma il poetico-morale di Leopardi è anche un modo d’essere dinanzi al proprio tempo, uno stare nel tempo contro il tempo: un essere “inattuale”, appunto, che non si trincera nel rifiuto, ma disegna via via un’alterità leggera, disutile, estranea all’epoca, come quella che nel primo dei 111 Pensieri sarà incarnata dalle “creature quasi d’altra specie”. E tuttavia lo stato di estraneità al proprio tempo, o l’attitudine alla magnanimità, non aboliscono l’essenza e l’intimo della condizione umana, cioè il sentire dell’infelicità e l’incolmabilità del desiderio. È questa compresenza che ci permette di leggere le Operette come una trama di correlazioni, di corrispondenze, di riflessi. Così – è solo un esempio – alla gelida negazione di ogni orizzonte messa in scena con l’Islandese risponde la filosofica consolatio di Plotino rivolta a Porfirio, fondata sul riconoscimento della prossimità e fraternità amicale come ragione di vita.





























































