di Renato De Capua

“Cieli azzurri e case bianche di calce. Foglie di tabacco che asciugano sui telai e sotto le volte”. Tra l’immensità che sovrasta gli uomini e la più stretta contingenza, c’è solo la distanza di qualche sillaba. Una misura piccola, eppure in grado di condensare il Sud nell’immobilità delle sue contraddizioni e in quella sua connaturata divisione tra l’essere un punto di fuga o uno spazio di resistenza. Anche in Vite barocche. Trama per un film (Besa Muci, 2025), il volume postumo che raccoglie i testi scritti da Vittorio Bodini con la collaborazione tecnica del giornalista Gustavo D’Arpe, riaffiora il paesaggio del Sud come condizione dell’anima. Il libro a cura di Antonio Lucio Giannone – professore onorario di UniSalento, direttore della collana “bodiniana” presso la stessa casa editrice, nonché tenace studioso di Bodini da quasi cinquant’anni – contiene il soggetto (I posseduti) e il treatment per un film mai girato, entrambi risalenti al 1959. La storia narrata in Vite barocche è ambientata essenzialmente nella Lecce degli anni Trenta e si rivela un pretesto per avviare un’indagine di carattere socio-antropologico sul Salento, come sottolinea Giannone, autore anche dell’introduzione in cui è ricostruita minuziosamente la storia del lavoro sulla base dei documenti rintracciati nell’Archivio Vittorio Bodini. Proprio nello scritto iniziale del libro, infatti, il curatore del volume fornisce al lettore gli strumenti interpretativi e critici per contestualizzare il lavoro nelle sue coordinate storiche e letterarie. Corredano la parte finale del volume una nota al testo che spiega l’approccio metodologico del curatore ai materiali d’archivio e un’appendice documentaria contenente dattiloscritti e lettere.
Una prima fonte a cui l’autore attinse per l’elaborazione dell’intreccio, come sostenuto da Giannone, deriva da Il fiore dell’amicizia, l’unico romanzo dell’autore rimasto inedito e poi pubblicato postumo.





























































